«Coraggio… piccolo soldato dell’immenso esercito. I tuoi libri sono le tue armi, la tua classe è la tua squadra, il campo di battaglia è la terra intera, e la vittoria è la civiltà umana»

(Edmondo De Amicis)

Tic-Tac, Tic-Tac, Tic-Tac.

È ricominciato il conto alla rovescia.

Ricomincia sempre.

Stiamo per ricordare la nascita del Bambino.

Ci stiamo preparando a festeggiare l’arrivo del Re dei Re.

E lo facciamo tutti, inclusi coloro che non credono: loro, come tutti quelli che invece ci credono (o così dicono) non andranno al lavoro, si troveranno nella frenesia di queste giornate, avranno in qualche modo a che fare con l’evento che non passa inosservato.

Per chi è cristiano il Bambino è il figlio di Dio; per i non credenti radicali non è mai nato, per i non credenti con un minimo di conoscenza è nato oggettivamente, un giorno, un Piccolino che ha fatto la rivoluzione, è stato rispettato, ma anche tradito, venduto, perseguitato, ucciso e storicamente è morto come l’innocente che ha trascorso la vita ad inseguire e spiattellare ovunque, senza timore, l’equità.

Mi voglio distaccare da tutto quanto è contenuto di fede, da tutto il dopo ed è su quella nascita che mi voglio concentrare.

Potremmo dirci, non mentendo, che tanti altri sono nati dopo e al pari del Bambino sono stati traditi, venduti e perseguitati: i loro nomi spesso si sono persi nell’oblio, ma di fatto è in Lui, da Lui, che sono rappresentati.

Potremmo anche chiederci perché, se ho detto che voglio staccarmi dall’idea del dopo, continuo ad usare la lettera maiuscola quando scrivo un pronome che Gli si riferisca e allora risponderei dicendo che la maiuscola resta l’unico modo che ho per riconoscerGli il Suo essere simbolo di molti.

Prima di Lui, che io ricordi, non c’era stata anima viva che si fosse permessa di dire che gli uomini sono tutti uguali: giovani, anziani, ricchi, poveri, ebrei, politeisti, bianchi, neri. Nessuno aveva detto che ciò che conta è che questi siano solidali, niente altro.

Dopo di Lui, e non per forza nel Suo nome, lo hanno fatto in molti, che come Lui, in tanti casi, non se la sono vista bene.

Leggevo di una donna ebrea atea che, con un’impressionante onestà intellettuale, sottolineava come chiunque di noi subisca una sventura, la definisca una croce perché è un’idea troppo forte e radicata: non ci permette di andare troppo per il sottile quando dobbiamo esprimere il nome di un dolore.

Così come tante parole che quel Bambino ha ripetuto avendole imparate dalle Antiche Scritture, se non vogliamo dire dal Padre, sono una costante nei nostri giorni, nel nostro linguaggio.

Ora, che le abbiano dette in molti o meno conta davvero poco, è di quel nome che ci ricordiamo ed è per questo che sto scrivendo: non ho mai nemmeno provato ad imporre i miei pensieri e non intendo farlo adesso, sto solo descrivendo qualcosa di inequivocabile.

Quel Bambino è nella storia del mondo, qualsiasi sia la ragione.

Assunto questo dato incontrovertibile, dunque, del Figlio di Dio, del Figlio dell’uomo o di un Bambino per tutti, per una volta che sia una, prepariamoci a festeggiare l’invito, il consiglio, l’insegnamento: tutti per uno, uno per tutti.

E, potendo, diciamoGlielo un grazie, perché onestamente, un regalo che non si può discutere ce l’ha fatto: non ha mai insegnato fesserie e almeno questo dovremmo riconoscerGlielo… fosse per me, in ognuna delle luci che andiamo accendendo oramai da due mesi a questa parte.


FonteImmagine di copertina: designed by Eich
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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.