Il ponte temporale di Castel del Monte

Sara Suriano, Maria Chiara Pomarico, Vincenzo Simeone e Luigi Lupo sono i ragazzi di “Ciò ma fe”, un gruppo informale, un collettivo autore del podcast “Tremori – voci dal castello”, un progetto promosso dal Festival Castel dei Mondi e dedicato al professore Michele Palumbo che, con lucida lungimiranza, ha cercato di recuperare le radici del nostro passato contro le derive tecnologiche del presente:

Quale desiderio ha mosso l’idea del podcast “Tremori – voci dal castello”?

Maria Chiara: Ci siamo ritrovati a fine agosto. dovevamo iniziare a scrivere quello che sarebbe stato il testo del podcast ed eravamo partiti dal concetto più semplice, cioè quello di intervistare gli attori registi che hanno animato il Festival. Avremmo fatto un’operazione di cronaca, di giornalismo. Però in realtà questa modalità non ci rispecchiava affatto. Siamo tornati dalle vacanze, ognuno con una lettura estiva, ci siamo seduti intorno a questo tavolo e abbiamo iniziato a raccontarci quello che avevamo letto. Tutto è partito da Sara con il racconto della sua lettura “Il nome della rosa”, che ci ha suggerito l’idea di un percorso all’interno di un castello che nascondesse delle verità. La mia invece era “Yoga” di Emanuel Carrer, che parlava di salute mentale, un tema che campeggia nelle nostre discussioni ma la verità è che abbiamo ancora paura di dire “io vado dallo psicologo”.

Come si staglia l’indimenticabile figura di Michele Palumbo nell’immaginario evocativo del Castel del Monte?

Vincenzo: Durante i giorni in cui abbiamo registrato il podcast mi è capitato di leggere un articolo in cui erano citate le parole di Michele Palumbo, mio professore ai tempi del liceo e scomparso nel 2017. Lui, che è stato giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno, filosofo, storico, si è sempre posto, con tutto ciò che ha fatto, come esempio per l’intera comunità, alla quale ha sempre dedicato tutta la sua attenzione e il suo lavoro. Infatti le parole che ho ritrovato erano state scritte per Castel del Monte e quando le ho lette mi è sembrato che le avesse scritte per “Tremori”.

“Castel del Monte, Castello di Pace, forma ottagonale. Otto torri pure ottagonali. Cortile ottagonale. Sulla Murgia, dunque, c’è un motto di pietra che rilancia l’antico significato dell’ottagono rapporto tra cielo e terra, tra materia e spirito, tra quadrato e cerchio. Quel contatto, quella mediazione, quello ottagono, sono i simboli di un desiderio del finito che aspira all’infinito. La quiete, l’assoluto, la pace. Un ottagono di pietra su una collina con finestra. Per guardare lontano, per guardare dovunque. Per guardare senza limiti e direzioni prestabilite. Una corona di pietra con tante stanze dove sedersi e discutere, con lingue diverse, con idee differenti, con un unico sogno la pace.” Proprio Agata, la protagonista di Tremori, torna spesso su questi concetti cercando di presentare Castel del Monte a chi il castello non lo conosce e la storia che abbiamo scritto è proprio una continua ricerca di quiete e pace, un viaggio tra le stanze del castello in cui Agata incontra e discute con i nostri ospiti. Ecco, credo che questa sia la dimostrazione di quanto le parole di Michele continuino a risuonare in chiunque abbia avuto la fortuna di conoscerlo.

Sarebbe giusto sostenere che argomenti quali morte, indifferenza, buio, attraggono i giovani per la volontà di esorcizzare queste paure?

Sara: Credo di sì. Il tema delle paure è un tema ricorrente in questo periodo storico, soprattutto per le nuove generazioni che vivono la pesante ingerenza della tecnologia nelle loro vite.

Ad esempio, utilizziamo il termine essere connessi anche quando si tratta di una connessione solo virtuale. E siccome le parole che usiamo cambiano il nostro modo di percepire le cose, forse stiamo già cominciando a non saper più distinguere tra autentico e fittizio. Scambi veloci, magari basati sulla prima impressione. Facciamo nostre le logiche dei social network, dimenticando che la vita è più complessa. Così, lo strumento tecnologico che supporta il podcast diventa il mezzo attraverso il quale poter andare a fondo.

Perché il podcast?

Luigi: Perché è basato sulla voce che è il nostro primo strumento di comunicazione. Quando ascoltiamo una storia, pensiamo a un papà che racconta una storia al proprio bambino, si instaura una relazione intima, di fiducia. Perciò, dovendo parlare di un viaggio nella propria interiorità, abbiamo scelto questo strumento.

Futuro di Cio ma fè?

Tante idee e tanto entusiasmo. Ma una cosa è certa: un altro podcast!


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Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.