
“Non tifo Toro, sono anti-juventino”: a tu per tu con Gianpaolo Ormezzano, protagonista assoluto al Festival della disperazione
Ognuno ha i suoi peccati. Tra i tanti di chi scrive, c’è quello di tifare appassionatamente per il Toro. Così, quando il Festival della disperazione ha portato ad Andria Gianpaolo Ormezzano, l’occasione era troppo ghiotta per non andare a sentirlo, un vero fiume in piena, che travolge l’uditorio, e per non chiedergli poi un’intervista, che Gianpaolo ha rilasciato con estrema disponibilità, da vero fratello granata. Ad alcune sue affermazioni il vostro umile cronista ha tremato, pensando: questa è la volta buona che mi becco una querela. Poi mi son detto: l’art.21 mi insegna a non censurare un maestro e collega come Ormezzano, e la sua ironia e la forza delle sue dichiarazioni sono già note urbi et orbi, quindi pubblichiamo. D’altra parte, padre Dante, uno che si è beccato qualcosa in più di una querela, ha scritto: “lascia pur grattar dov’è la rogna…”
Giampaolo, due giorni fa la commemorazione di Superga, stasera il derby, la prima domanda è imprescindibile: che cosa vuol dire tifare Toro?
Beh, se lo sapessi, non tiferei forse, perché mi piace anche l’assurdità: una squadra piena di ielle, che concentra la iella, che fa da parafulmine per tutto il resto del calcio. Delle ielle sublimi: citare Superga è fin troppo facile, ma Meroni, Ferrini, i derby persi all’ultimo minuto… Il fatto che l’altra sera, con una operazione di sana masturbazione mentale, ci siamo trovati a Torino, in 1.000 in un teatro, pagando pure il biglietto di ingresso, a celebrare la sconfitta contro l’Ajax nel ’92: tre pali nella finale di coppa Uefa, con Mondonico che alza la sedia. C’era anche lui, l’altra sera, insieme a Policano e Bruno; Martin Vasquez è venuto apposta dalla Spagna, Casagrande dal Brasile… Ma quando si trova un’altra follia sana come questa e che non fa male agli altri? Questo è importante. Noi abbiamo avuto Meroni, una storia incredibile. Tra l’altro, io son diventato amico di Meroni grazie alla mia prosopofisiognomica, una malattia schedata che consiste nell’impossibilità di riconoscere le persone accoppiando la persona al nome: io credevo fosse uno qualunque che mi aveva sfidato a una corsa automobilistica, una notte a Torino, lui non sapeva di me, io facevo ciclismo, siam diventati amici senza sapere che lui fosse Gigi Meroni. E poi ero affianco alla sua compagna al suo funerale… Delle storie pazzesche: Ferrini che ha un’agonia parallela a quella del Caudillo, il generalissimo Franco. E poi ancora storie meravigliose: di ubriachezze, di allegria, di arte anche, che è molto legata al Torino. Ma tutta la parte viva della Città, non borghese, non ricca, è legata al Granata.
Lei una volta ha scritto di aver avuto due fortune nella vita: non essere nato donna afghana a Kabul e non essere nato tifoso della Juventus a Torino…
Come fa a sapere queste cose? Ha studiato? Complimenti! Ovviamente, io lo dico paradossalmente. Io son convinto che il calcio sia tutto corrotto e quindi anche la Juve. Son convinto che la Juve sia più corrotta del Torino perché ha più soldi del Torino per corrompere, tutto qui. Calciopoli non mi ha sorpreso per niente. Moggi è stato al Torino per tanti anni, portandoci in finale di Coppa Uefa, quindi qualche pasticcio l’avrà fatto anche lì. Io sono convinto che la metà del calcio è condizionato dai soldi. Per questo son contento che il Torino non sia forte: io non lo voglio forte. Venisse uno sceicco al Torino, non tiferei più Toro. Non parliamo il cinese e non me ne frega niente di avere una squadra forte. Perché il Torino è più che il calcio. Il calcio non merita il Torino e il Torino non si merita di vedersi appioppato il calcio. Il Torino è l’Italia che risorge, è Coppi: cerco di spiegarlo ancora oggi a Marina, la figlia di Fausto, mia grande amica, che è juventina e astemia, una cosa peggio dell’altra: fa vini ed è astemia, come può parlare di vite un astemio? Ho conosciuto solo un altro grande del calcio che era astemio, siamo stati amicissimi, penso che io sia stato l’ultimo, a parte i parenti, a vederlo in vita, era Nils Liedholm, che faceva vini in una tenuta del Monferrato e non beveva. Gli chiedevo: ma cosa ci provi? E lui: come cosa ci provo? È una gioia! D’altra parte, è un po’ come la storia che i grandi cuochi si dice siano pessimi buongustai: per di più, considerato che gli stereotipi maschilisti mi stanno sulle scatole, vorrei capire perché son tutti maschi, un vero mondo rovesciato, mentre come cucinava mia nonna non ha cucinato mai nessuno al mondo…
Torniamo al Toro, due giorni fa, la memoria di Superga e una mano insensata che ha violato i nomi sacri del Grande Toro, il cuore dei parenti e quello di tutti i tifosi. Gigi Buffon, però, ne ha subito preso le distanze, scrivendo parole molto forti contro gli imbecilli che hanno offeso i morti…
Ha scritto che son più morti dei morti. È stato grande. Veramente. Sono contento che lui sia l’unico juventino a cui ho regalato il mio libro Vangelo del vero anti-juventino. Io e Buffon abbiamo un rapporto stranissimo perché due o tre capodanni fa, in un’enoteca di Torino, c’era un signore che, uscendo, disse: buon anno a tutti! Risposi: grazie anche a lei, non so chi sia, ma questo non mi impedisce di ricambiare il suo augurio. E lui: l’importante è che io sappia chi è lei. Ed è uscito. Era Buffon! L’ho rincorso, l’ho richiamato per dirgli che solo dopo l’avevo riconosciuto. Insomma, ho fatto una figura da perfetto imbecille! Anche se ripeto: è uno che finirà per porre la sua gloria al servizio eccessivo dei colori bianconeri. Diciamo che la Juve non lo merita come non merita il mio amico Gianpiero Boniperti, un vero fratello per me. Una volta con Boniperti parlavamo di Moggi e gli dissi: i tuoi scippi erano al lume di candela. Ma non voglio ripetermi. D’altronde, il calcio è cambiato: si gioca a velocità tripla, i polpacci di quelli di oggi sono quanto le cosce dei calciatori di ieri. Poi, possiamo pensare che in un fenomeno così, come quello del calcio, che muove così tanto denaro, non ci siano giochi sporchi? Che problema c’è per un’associazione a delinquere, o anche solo un’associazione speculativa, a comprare una partita? Basta comprarne uno, il portiere, e puntare a Singapore con soldi rumeni e internet turco, no? Come possiamo pensare che sia pulito il calcio? Non è possibile tecnicamente. La natura dell’uomo porta a escluderlo. Il calcio è la mela dell’Eden: si addenta, c’è poco da fare. Però il calcio è uno splendido gioco…
Una disperazione di cui non si può fare a meno?
Ecco, bravo. Io poi, che ho uno splendido retroterra barcellonese, vivevo tutti gli anni a Barcellona la partita Barcellona-Real Madrid: era una cosa incredibile. L’ultimo “Clasico” è stato stupendo, al Bernabeu, con doppietta di Messi che segna il goal decisivo al 92’. Ma qui siamo oltre il calcio, oltre lo sport. Tanto è vero che il gesto atletico di dare calci a un pallone è il più banale che ci sia. Dare calci a un pallone elastico ha già un maggiore valore atletico. Il calcio si gioca coi piedi: è come dire facciamo una corsa con le gambe nei sacchi. Il valore atletico del calcio è minimo, però: ha qualche cosa, tanto che persino indiani e cinesi impazziscono per il calcio. E aggiungo: io non ho una grande stima intellettuale degli Stati Uniti, ora, se gli americani non impazziscono per il calcio, allora vuol dire che il calcio vale…
Questa intervista potrebbe continuare all’infinito, ma mi limiterò a porre un’ultima domanda. Ha visto mille, mille e ancora mille partite: se dovesse ricordarne una sola?
Non una, due. Avevo 11 anni e al Filadelfia c’era Torino-Lazio, arrivammo in ritardo perché mio papà aveva prolungato la pennichella. Quando giungemmo al Fila, la Lazio vinceva 3-0 e io piansi. Mio padre mi disse: stai tranquillo che adesso ci pensa Mazzola. Vincemmo 5-3, con due goal di Valentino. E poi la partita del 3-2 nel derby, con rimonta da 2-0, il 27 marzo 1983. Io l’ho vista abbracciato, direi quasi in coito, con la moglie di Bonesso che segnò uno dei tre goal: Dossena, Bonesso, Torrisi. Il giorno dopo Boniperti mi disse: non è possibile, non è possibile, ci avete fatto tre goal in 3 minuti e 40 secondi! Ecco, quella la ricordo molto di più della vittoria nel derby del ’76, l’anno dello scudetto, che non è che mi interessi molto (era il 28 marzo, ndr). Ho sulla coscienza la finale con l’Ajax, l’ho persa io, perché, per una totale minchiata giornalistica, ero a san Diego, in California, a seguire in Coppa America la regata del Moro di Venezia: per seguirla, non ho visto la partita del Torino. Se c’ero io, tre pali il Toro non li pigliava. L’ho detto anche a Mondonico: è colpa mia. Tre pali: Mussi, Casagrande e, allo scadere, Sordo. E la sedia del Mondo al cielo…