«Desidero dimostrare, non come gli uomini considerano il mito, ma come il mito opera nella mente delluomo senza che lui ne sia cosciente»

(Claude Lévi-Strauss)

Passava a piedi, in compagnia, per una strada del centro di un borgo estivo. La serata era mite, tiepida, piacevole, la luna piena e rossa.

Il fatto che si fosse soffermata a pensare a quanto era effettivamente strano che quella stessa luna l’avessero guardata Cleopatra, Shakespeare o Maria Antonietta, era assolutamente ignoto a chiunque, tant’è che, camminando, qualcuno si soffermò su una costruzione privata, una casa a dirla tutta. con un imponente arco di ingresso in stile romano copiato male: i conci fra intradosso ed estradosso erano pure  del colore che si soffermava esattamente a metà fra il bordeaux e l’arancione.

«E questo?”, si sentì chiedere.

«Eh, pare il forno a legna di Polifemo», rispose con il modo tipico dei momenti in cui, pur non volendo, pensava con convinzione che la gente fosse scema. In quel caso, non gli astanti ma l’architetto che doveva aver disegnato quella “cosa”.

In sostanza, quando era arrivata la domanda, lei pareva essere stata l’unica a non aver notato lo scempio, infatti guardava dritto davanti a sé; il mausoleo era sulla sinistra. In realtà, invece, lo aveva notato ed era rimasta talmente perplessa da aver sì pensato al forno a legna, senza però nemmeno scomodarsi a fiatare, fino a che non era stata costretta a buttar fuori quel rutto dell’anima.

Lei era rimasta seria, mentre intorno era accaduto ciò che si aspettava: erano tutti scoppiati a ridere di gusto, come ogni santa volta in cui sputava una delle sue frecce velenose, perfettamente e volontariamente celate dietro l’aspetto iconico della battuta comica.

«Ma come diavolo le pensi?», qualcuno le domandò, faticando a finire di dire, perché non riusciva a smettere di ridere: «Ma veramente hai l’automatismo della risposta perfetta, pescata dal vaso di Pandora! Sei un personaggio dal destino strano, ripescare il mito!»

E niente, ridevano.

E lei rise altrettanto, decisamente rise compiaciuta: trovò consono non aggiungere nulla e, proseguendo il cammino, solo ripeté a sé stessa, per non dimenticarlo (come il Piccolo Principe): un personaggio dal destino strano, ripescare il mito.

Chissà se quelle persone conoscevano, però, davvero il destino nel mito. Il filo delle tre Parche figlie di Zeus e Temi o dell’Erebo e della Notte, le Moire. Quelle tre “donne” che decidevano per il destino degli esseri umani. Cloto (“filo”), Lachesi (“ricevo dalla sorte”) ed Atropo (“inesorabile”): una che iniziava a filare, l’altra che arrotolava il filo intorno al fuso e lo stendeva, la terza che lo recideva.

Nascita, vita, morte.

Un flash durato cento metri, il tempo di confondere la mitologia seria con l’architettura spicciola; la tela greca del destino, con la scacchiera famosa su cui Qualcuno giocherebbe le sue partite; un brutto arco, con un immenso forno.

A ripensarci, quella tizia non aveva proprio nulla a che vedere con le dee greche, né con i miti: sembrava molto più simile al Cappellaio Matto, ma non da solo… il Cappellaio, nel momento in cui era assolutamente e completamente posseduto da Alice. Un momento sconosciuto alla storia, se vogliamo, ma che deve essere esistito con assoluta certezza.

Le sere d’estate, Signori, le sere d’estate sono sempre così: fondamentalmente una stravagante ed incredibile idiozia.

L’altra faccia del genio.


FontePhotocredits: Luca Di Mattia
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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.