I LIBRI VIVENTI DEL CPIA BAT: SECONDO EPISODIO
Nel 1991 in Albania stava crollando il regime comunista di Enver Hoxha, iniziato nel 1946, che aveva condannato il Paese all’isolamento e alla povertà assoluta. Gli Albanesi spinti dalla promessa di benessere dei canali televisivi italiani, che ricevevano dall’altra sponda dell’Adriatico, furono in 25mila a tentarne la traversata il 7 marzo. Il 70% della popolazione a quel tempo viveva nelle campagne: costoro, utilizzando navi mercantili e imbarcazioni di fortuna, raggiunsero il porto di Brindisi, insieme alle loro donne e bambini affamati. La città, completamente impreparata ad accogliere una folla di questo tipo, si ritrovò in piena emergenza umanitaria. Ci vollero cinque giorni prima di un intervento del governo Andreotti che decise di aiutare i migranti, trasferendone parte in Sicilia, parte in Basilicata ed altri ancora in abitazioni private e centri sociali pugliesi.
Esattamente dopo cinque mesi, il 7 agosto 1991, 20mila fuggiaschi si riunirono a Durazzo, prendendo d’assalto la nave mercantile Vlora, di ritorno da Cuba con un carico di zucchero. Una volta a bordo costrinsero il comandante Halim Milaqi a salpare per l’Italia. Il cargo raggiunse Brindisi il giorno successivo, ma, dopo il divieto di attraccare da parte della prefettura della città, fu costretto a dirigersi verso il porto di Bari. In questa circostanza il governo si oppose allo sbarco degli albanesi: le persone a bordo del Vlora vennero prima sistemate nello stadio della Vittoria di Bari (le cui porte vennero bloccate da enormi pile di container) e poi, con la falsa promessa di essere trasferite a Venezia, rimpatriate a Tirana.
Barbara Palombelli su la Repubblica(09/08/1991) in un articolo intitolato La battaglia di Bari racconta: << Allo stadio della Vittoria, a sera, si accendono le luci come se ci fosse davvero una partita di calcio. E invece per chi entra dalla porta Maratona lo spettacolo è allucinante. Il campo, recintato da una rete altissima, è davvero diventato un lager. Chi ce l’ha fatta, è riuscito a sfuggire ai manganelli e ha guadagnato la tribuna. Nella notte da quelle tribune, sfidando i cavi dell’alta tensione, e la morte da venti metri, in molti cercheranno di evadere verso l’avventura. E mentre gli autobus arancioni continuano a riversare la gente dentro, qualche famiglia di baresi porge ai profughi affacciati agli sportelli una bottiglia d’ acqua, qualche spicciolo, un sorriso. Un bambino col pallone lo regala lanciandolo attraverso il finestrino a un bambino albanese. In cento su ogni autobus, vengono fatti scendere soltanto dalla porta davanti, uno alla volta. Li aspetta una delusione. Sono arrivati fin qui sfidando la morte perché i loro compatrioti gli hanno raccontato che in Italia, in poco tempo, si può facilmente guadagnare (o rubare) quel paio di milioni con cui in Albania si può tirare avanti due anni alla grande. Hanno trovato un po’ d’acqua da bere, forse un po’ di cibo per non morire subito di fame. Ma la loro odissea non finirà qui. E lo stadio della Vittoria è solo una tappa del lungo cammino del loro difficile mestiere di vivere.>>
Allo stadio della Vittoria, mentre si procedette a distribuire sommariamente cibo ed acqua dall’alto, tramite elicotteri, si realizzò una feroce lotta per la sopravvivenza: solidali a bordo della Vlora, dove avevano condiviso disagi e speranze, gli ex compagni di viaggio si azzuffarono selvaggiamente per accaparrarsi panini e bottiglie. In quel clima da legge della giungla trascorsero tre lunghissimi giorni, sotto un sole cocente, dormendo sulle gradinate. La maggioranza degli albanesi fu rimpatriata a bordo di aerei C-130: un’operazione inutile, perché quasi tutti gli espulsi tornarono in Italia negli anni successivi. il professor Met Dervishi, direttore del settimanale di Durazzo Gazeta Dyrrah, autore del romanzo Il sogno dei sandali di cristallo Swarovski, pubblicato nel 2008, sostiene: <<Voi italiani non siete gli unici ad essere rimasti sotto choc […] le cime delle navi sembravano liane e le sagome che si arrampicavano sui ponti parevano scimmie, accavallate le une sulle teste delle altre, piramide umana, mentre si accalcavano a centinaia sulle banchine, premute da migliaia di altre creature che confluivano verso il porto da ogni dove […] Non sapremo mai com’è andata veramente, ma si parlava di un accordo tra i governi albanese e italiano per consentire la partenza di qualche migliaio di persone. Le navi erano lì ad aspettare e gli equipaggi erano consenzienti. La notizia fece il giro dell’Albania e fu come gettare una calamita in una stanza piena di ferraglia>>.
“Battaglia”, “assalto”, “invasione”, variamente definito lo sbarco dei migranti albanesi dell’8 agosto 1991 a Bari, a distanza di quasi trent’anni è solo un ricordo, seppur bene impresso nella memoria dei baresi, in particolare.
Oggi i cittadini di origine albanese regolarmente soggiornanti in Italia sono 430mila: costituiscono l’11% dei cittadini non comunitari che vivono nel Paese (al secondo posto dopo la comunità marocchina). Molti risiedono nel Nord Italia, in particolare in Lombardia (20%), in Toscana (14%) e in Emilia Romagna (13%) – fonte: Ministero del Lavoro (2019). Sono stati inclusi nel tessuto sociale italiano e non vengono più avvertiti come una minaccia. Le seconde generazioni di immigrati albanesi sono ben inserite nel sistema scolastico italiano – la scuola con l’educazione alle diversità può essere considerato il più importante luogo per l’inclusione degli stranieri (sono quasi 10mila gli studenti di nazionalità albanese che frequentano un corso di laurea triennale o biennale).
Attualmente l’Albania sta vivendo un periodo di straordinaria crescita economica grazie a un piano efficace di modernizzazione e di lotta alla corruzione; sempre più imprese italiane e straniere decidono di delocalizzare nei Balcani e in Albania in particolare. Anche il turismo sta registrando alti tassi di crescita, soprattutto nella capitale Tirana, candidata al titolo di Capitale Europea della Cultura 2024.
La Storia, Magistra vitae, ci insegna che il fenomeno dei flussi migratori è irreversibile ed irrinunciabile, praticamente fisiologico per gli esseri umani. Gestire correttamente l’immigrazione significa creare canali legali per i flussi di persone, realizzare politiche che facciano incontrare domanda ed offerta di lavoro; “chiudere” invece i porti conduce ad incrementare il numero dei morti in mare e privare i migranti ed i loro Paesi d’origine di grandi occasioni di crescita economico-culturali.
Il secondo episodio dei Libri viventi del CPIA BAT fa riferimento proprio a questi anni ed a questi accaduti.
STORIA DI VITA E DI CORAGGIO – ANILA (21/02/2020)
Questa storia che vi racconto è la storia triste del mio amato Paese, vissuta da tutti noi, ma soprattutto dalla maggior parte della gioventù studentesca.
Erano gli anni ‘90 e tutti si sentivano stanchi ed esausti di quel regime che durava da quasi mezzo secolo e ci teneva chiusi nel proprio guscio, creato da quel dittatore per tenerci ai suoi comandi fuori e lontani dal resto del mondo che andava a gonfie vele.
Questo dittatore aveva una vera e propria ossessione dell’Occidente che considerava il nemico numero uno e che tentava di allontanare e screditare con ogni mezzo possibile. Durante quegli anni si poteva vedere solo la televisione di Stato che trasmetteva solo programmi di propaganda politica e sociale in cui si diceva che eravamo un popolo che non aveva bisogno di niente e di nessuno, ma la realtà era ben diversa, si facevano le file per ore e ore per comprare il pane e latte, tutto era razionato per ogni membro della famiglia. C’erano famiglie che si separavano per avere un chilo in più di carne, che veniva fornita solo durante le feste nazionali.
Grandi guai arrivavano per persone che volevano esprimere il loro parere, la loro rabbia o il loro discontento nei confronti del governo. Infatti furono migliaia i condannati per questo, chi si esprimeva in maniera più diretta veniva fucilato.
Dall’altra parte il popolo intelligente, di nascosto, vedeva e sentiva quello che accadeva intorno ai Paesi vicini, però nessuno aveva il coraggio di ribellarsi, finché Hoxha morì nel 1985 e il suo posto venne preso da un suo fedele amico e ministro, Ramiz Alia.
Come raccontavo precedentemente, erano gli anni ‘90 quando tutta la gioventù studentesca trovò il coraggio per ribellarsi. Uscirono in migliaia organizzati, bloccarono tutte le strade e le istituzioni gridando <<Libertà edemocrazia>>. Ci furono tanti giovani vittime in quei giorni. Questi ragazzi furono considerati dei veri eroi, salvatori di una patria chiusa in gabbia.
Fecero cadere il governo comunista trascinando la statua del dittatore per le strade della capitale. Finalmente eravamo liberi di realizzare i nostri sogni!
Altri presero le navi obbligando i capitani a partire verso la Terra tanto sognata e amata in silenzio.
Tanti arrivarono a destinazione ma altrettanti furono purtroppo i dispersi in mare, uomini, donne e bambini che partivano con un grande sogno, quello di una vita sicuramente migliore!