Qualsiasi pazzo con delle mani veloci

può prendere una tigre per le palle,

ma ci vuole un eroe per continuare a strizzarle.

(Stephen King)

Stavo salutando la mia anima bella stamattina.

Parlavamo di cose pratiche, notevolmente pratiche. Quelle che ci diciamo solo ed esclusivamente fra noi, di cui non parliamo più con nessuno, perché ci siamo accorte che così viene meglio (o perché siamo state costrette ad accorgercene. Non è un fatto di merito esclusivo, ammetto).

Fasi ed enfasi delle nostre giornate, fra loro unite e non confuse: la trinità insegna che così funziona.

E mentre finivamo alcuni elenchi, mi è scappato di voler scrivere il sostantivo “eroe” che il T9 ha corretto automaticamente in “errore”.

Ci stava benissimo.

Non a caso, subito dopo, qualcun altro, che evidentemente stava leggendo in giro qualcosa che avevo scritto tempo prima ed era inciampato in un proverbiale “la parte peggiore di me”, mi ha riservato quanto segue:

“La parte peggiore di te …Non approfondirò, ma credo sia come trovare un ago in un pagliaio. La scrittura: era un apprezzamento per lo stile e la fluidità lessicale oltre che per il rigore dei pensieri”.

A questo punto, posta la mia opinione circa lo spessore del mittente, avrei doverosamente dovuto sentirmi un’eroina, prendendo peraltro spunto da tutta una serie di esemplari, che continuano a dimostrarmi come vivano di piacevole compiacimento,  in quel modo.

Ma io, come chi mi conosce sa, dico e penso da sempre di essere vergognosamente fortunata.

E lo sono stata anche oggi: a salvarmi, prima ancora che potessi cadere, è arrivato  il T9.

Eroe. Errore.

Procederei con le cose pratiche, a questo punto. Quelle di cui non parliamo nemmeno io ed anima bella, posta la loro basilare ovvietà. Caricare le relazioni finali di settordici classi e millemila alunni, sistemare le competenze, aiutare qualcuno a risolvere beghe in lingua legalese, riportare allo status quo ante l’igiene di una casa, evitare di far vincere gli istinti animaleschi, scendere a fare un paio di faccende necessarie per provare a mettere radici in quel del luogo in cui vivi, combattere il tempo che sembra non bastare, custodire i fatti: questo sì che potrebbe essere eroico.

Così, dall’alto del mio leggings casalingo e di un trono non meglio specificato, mi rivedo a leggere un meme:

«La sai quella dell’idiota sul piedistallo?»

«No».

«Meh scendi, che te la racconto!»

Ergo eroico, tutto quanto sopra, potrebbe essere, ma non è.

Del resto “non possiamo essere tutti eroi perché qualcuno deve pur sedersi sul bordo del marciapiede ed applaudire, mentre loro passano.” (Will Rogers).

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FontePhotocredits: pixabay.com
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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.