«L’eterna confusione fra limite e confine»

(Eich)

Che assurda violenza, a volte, la vita.

Violenza perché non ci lascia il tempo di capire: accade e si fa trovare seduta a guardarci quando ormai è “dopo”, quando potremmo essere fieri ed orgogliosi, oppure pieni di rimorsi o di rimpianti.

Un tempo che è il futuro di ieri, il giorno in cui stava succedendo, noi eravamo gli attori scelti per agire in prima linea e facendo, non abbiamo focalizzato quasi nulla.

In quei momenti ci manca il tempo per la concentrazione, la riflessione, il tempo per capire: spesso si tratta di muovere montagne e farlo subito, o almeno così ci sembra. Altrettanto spesso, non è affatto vero che vada fatto così nell’immediato, ma quella è la percezione che la vita ci rimanda e quella seguiamo, per ritrovarci dopo, a giochi chiusi, a riguardare finalmente tutto senza poter fare, troppe volte, più niente.

Quante volte, anche davanti alla gloria ottenuta, ci siamo detti: «Però, in effetti, avrei potuto…», quante volte abbiamo dovuto “sbattere contro” o “sederci con” i condizionali che avevano tolto il posto agli indicativi?

E normalmente ci succede a prescindere dall’importanza di ciò che avevamo da fare ed anche a prescindere dai risultati che volevamo raggiungere; ci succede perché dobbiamo andare avanti, seguire le ore, inseguire i giorni e farlo in modo spedito, più sicuro possibile, a testa alta, con forza e determinazione.

Ed è allora che dimentichiamo come ci sentiremo dopo, quando saremo forse stanchi e soddisfatti o, succede, solo sfatti dai misfatti.

Penso ci sia una ragione nemmeno tanto nascosta dietro a tutto questo e penso che sia una ragione a misura di dettaglio, come tutte le grandi ragioni: ci manca un posto, un posto solo e piccolo in cui poter smettere di essere invincibili. Un luogo in cui, al sicuro, possiamo permetterci di sentirci come natura crea: insicuri.


FontePhoto by Abbie Bernet on Unsplash
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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.