«L’eterna confusione fra limite e confine»
(Eich)
Che assurda violenza, a volte, la vita.
Violenza perché non ci lascia il tempo di capire: accade e si fa trovare seduta a guardarci quando ormai è “dopo”, quando potremmo essere fieri ed orgogliosi, oppure pieni di rimorsi o di rimpianti.
Un tempo che è il futuro di ieri, il giorno in cui stava succedendo, noi eravamo gli attori scelti per agire in prima linea e facendo, non abbiamo focalizzato quasi nulla.
In quei momenti ci manca il tempo per la concentrazione, la riflessione, il tempo per capire: spesso si tratta di muovere montagne e farlo subito, o almeno così ci sembra. Altrettanto spesso, non è affatto vero che vada fatto così nell’immediato, ma quella è la percezione che la vita ci rimanda e quella seguiamo, per ritrovarci dopo, a giochi chiusi, a riguardare finalmente tutto senza poter fare, troppe volte, più niente.
Quante volte, anche davanti alla gloria ottenuta, ci siamo detti: «Però, in effetti, avrei potuto…», quante volte abbiamo dovuto “sbattere contro” o “sederci con” i condizionali che avevano tolto il posto agli indicativi?
E normalmente ci succede a prescindere dall’importanza di ciò che avevamo da fare ed anche a prescindere dai risultati che volevamo raggiungere; ci succede perché dobbiamo andare avanti, seguire le ore, inseguire i giorni e farlo in modo spedito, più sicuro possibile, a testa alta, con forza e determinazione.
Ed è allora che dimentichiamo come ci sentiremo dopo, quando saremo forse stanchi e soddisfatti o, succede, solo sfatti dai misfatti.
Penso ci sia una ragione nemmeno tanto nascosta dietro a tutto questo e penso che sia una ragione a misura di dettaglio, come tutte le grandi ragioni: ci manca un posto, un posto solo e piccolo in cui poter smettere di essere invincibili. Un luogo in cui, al sicuro, possiamo permetterci di sentirci come natura crea: insicuri.