Specie se scegliamo inconsciamente di postare la parte peggiore di noi

Si definisce “doppio letterario”, il costume di alcuni autori di riprodurre, attraverso i loro scritti, degli alter ego.

Ci ha provato Pirandello con Adriano Meis e Mattia Pascal, Shakespeare con i coniugi MacBeth, Goldoni attraverso i gemelli veneziani. Lo scopo è attribuire, alla propria copia, un’immagine migliore, temprarla di qualità che, personalmente, sappiamo di non possedere.

Lo spiega, perfettamente, Dostoevskij ne Il Sosia, opera in cui il protagonista Goljadkin ammira a tal punto la sua proiezione da esserne geloso. Ce lo mostra Fincher nel suo Fight Club, lotta aspra contro le insicurezze cerebrali.

La teoria del doppio, per quanto assurda, può essere applicata anche ai social. Purtroppo, però, pur avendo la possibilità di mascherarci dietro falsi profili, scegliamo inconsciamente di postare la parte peggiore di noi, quella che più si confà alle mode demagogiche dei nostri amici virtuali, siano essi uno, nessuno o centomila.