Finisce sul banco degli imputati una donna che ha scelto l’altruismo estremo, i suoi giudici sono i sacerdoti dell’estremo egoismo. Non c’è partita.

Caro Direttore,

anche il rapimento di Silvia Romano, la volontaria italiana in Kenia, ha dato esca ai soliti mazzieri della rete che, incapaci di pensiero umano, massacrano tutto ciò che resta estraneo al loro istinto beluino. Una ragazza che decide di dedicare un periodo della propria vita ad accompagnare il cammino degli ultimi diventa una “buonista” pericolosa. Tutti a dispensare consigli di egoistica saggezza. È andata in Kenia a suo rischio e pericolo, ha cercato il martirio, be’ che adesso si arrangi, che vuole da noi? Se l’è cercata.

Non mi meraviglia il fatto che il degrado civile e culturale del nostro Paese continui a scalare alla rovescia la classifica del mondo. Il fascino del manganello che rende vincente l’attuale governo sta contagiando anche gli ignavi e gli incerti. Mi meraviglia, invece, che fior di giornalisti e di intellettuali, pur senza cedere all’invettiva, scelgano una sorta di equidistanza terzista, né con Silvia né contro Silvia. I frequentatori di salotti televisivi che incolpano l’età giovane della ragazza, il suo sacro fuoco, la sua immaturità. Cose da ragazzi, cose che poi passano, con l’età e la saggezza dei capelli bianchi.

Trovo che questo sussiego tollerante e giudicante non sia, nel risultato, molto diverso da quello dei mazzieri, intolleranti ma giudicanti anche loro. Trovo che questo nostro Paese sia vicino a non potersi dire più cristiano, e che le bibbie e rosari esibiti dai nuovi fasci siano l’ultimo stadio del degrado. Finisce sul banco degli imputati una donna che ha scelto l’altruismo estremo, i suoi giudici sono i sacerdoti dell’estremo egoismo. Non c’è partita, per quel che mi riguarda. Sì, è vero, l’entusiasmo e l’incoscienza giovanili creano  spinte ad alto rischio. D’altra parte, mi guardo intorno e vedo come sono combinati oggi molti giovani: niente entusiasmo, niente ribellione, zero ideali. Allora, io sto con Silvia e con il suo amore per gli ultimi, disinteressato fino al rischio di sé.

Lei e quelli come lei mi raccontano che c’è ancora una speranza di Cristianesimo.


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Pugliese errante, un po’ come Ulisse, Antonio del Giudice è nato ad Andria nel 1949. Ha oltre quattro decenni di giornalismo alle spalle e ha trascorso la sua vita tra Bari, Roma, Milano, Palermo, Mantova e Pescara, dove abita. Cominciando come collaboratore del Corriere dello Sport, ha lavorato a La Gazzetta del Mezzogiorno, Paese sera, La Repubblica, L’Ora, L’Unità, La Gazzetta di Mantova, Il Centro d’Abruzzo, La Domenica d’Abruzzo, ricoprendo tutti i ruoli, da cronista a direttore. Collabora con Blizquotidiano.  Dopo un libro-intervista ad Alex Zanotelli (1987), nel 2009 aveva pubblicato La Pasqua bassa (Edizioni San Paolo), un romanzo che racconta la nostra terra e la vita grama dei contadini nel secondo dopoguerra. L'ultimo suo romanzo, Buonasera, dottor Nisticò (ed. Noubs, pag.136, euro 12,00) è in libreria dal novembre 2014. Nel 2015 ha pubblicato "La bambina russa ed altri racconti" (Solfanelli Tabula fati). Un libro di racconti in due parti. Sguardi di donna: sedici donne per sedici storie di vita. Povericristi: storie di strada raccolte negli angoli bui de nostri giorni. Nel 2017 ha pubblicato "Il cane straniero e altri racconti" (Tabula Dati).

1 COMMENTO

  1. Il modo con cui gli odiatori seriali della rete e i sacerdoti del pensiero unico esplicitano il loro misero pensiero la dice lunga circa l’imbarbarimento culturale del nostro paese.

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