
…purtroppo o per fortuna
Pochi sanno restare accanto a chi esplode. Perché, quando si esplode, viene fuori di tutto. E non è bello. Non è nemmeno giusto: vomitare sugli altri impulsi, parole ed emozioni represse non può essere la base di una relazione. Gli altri non sono una discarica emotiva.
Eppure, a volte, si esplode: la pressione interna sale a livelli incredibili; stress, ansia, rabbia, paura fanno saltare il tappo dell’autocontrollo; velocità e cultura della performance fanno il resto. E così, se nel pubblico si riesce, più o meno, a contenersi, nel privato si esplode. Si deve farlo, pena l’implosione. Basta pochissimo: la parola fuori posto che solletica la stanchezza della giornata; il gesto che richiama un torto subìto; l’atteggiamento che dà voce al trauma irrisolto. In questi e in altri modi le persone con le quali viviamo gomito a gomito, senza volerlo e senza previsione, ci fanno esplodere.
Ecco il punto: si esplode davanti a chi si ama, purtroppo o per fortuna. Si esplode lì dove ci si sente non giudicati e accolti nonostante tutto. Insomma, più ci si sente al sicuro, più ci si comporta peggio. Un po’ come i bambini, solo che nel loro caso la spiegazione sta nella fisiologica immaturità cerebrale; un adulto dovrebbe aver raggiunto maturità emotiva e capacità di autoregolazione. Soprattutto un adulto dovrebbe sapere che si può esplodere anche in modo diverso.
Si può imparare a dar voce a ciò che si è, a ciò di cui si ha bisogno, a ciò che si sente volta per volta, senza arrivare a scoppiare. Certo, in un mondo ad alto livello di analfabetismo emotivo è difficile. Ci convincono che sia meglio tenere sempre tutto dentro. Ci educano a negare le emozioni per conservare un mitologico equilibrio. Come se l’equilibrio non fosse il frutto di continui squilibri. Come se il problema, poi, fossero le emozioni e non ciò che le scatena. Nel tran-tran di ogni giorno ci chiedono di accendere la webcam e sorridere, rispondere al telefono e articolare un discorso compiuto, lavorare senza farci coinvolgere, essere sul pezzo senza andare in pezzi, aprire progetti e chiudere il cuore, non piangere e non arrabbiarsi. Infine, a casa, coinquilini di vario ordine e grado pretendono e assorbono quel poco che resta. E se non si è abituati ad ascoltarsi, a cercare spazi di respiro, ad aver cura di sé, a chiedere aiuto, si può facilmente collassare.
Ci si dovrebbe prendere di tanto in tanto, nell’arco dei doveri quotidiani, il permesso di ex-plaudere, cioè di “fare rumore fuori”, di “scoppiare con fragore”. Lo stesso fragore dell’applauso che la parola richiama. E l’applauso, la stima, l’approvazione la meritiamo anche quando esprimiamo l’esigenza di una pausa, il disappunto, la fatica, lo stress, l’incapacità, il bisogno di aiuto; quando crolliamo nel bel mezzo di una riunione; quando ci mettiamo a piangere davanti a tutti; quando ci prendiamo una pausa; quando ci permettiamo il lusso di apparire così come siamo, senza maschere, senza perdere tempo a spiegare.
Come la primavera: esplode così, da un giorno all’altro e per tutti. Per chi la guarda con il caos dentro e all’improvviso si sente capito. Per chi la smette di scusarsi e inizia a esplodere un po’ ogni giorno, a sbocciare. Anche per chi, ingenuamente, scambia tutto l’incontenibile fragore della rinascita dopo l’inverno per bellezza ingenua e silenziosa.
Ecco come si dovrebbe esplodere: non il tuono del temporale, improvvisamente libero dopo un giorno di nubi minacciose, gonfie, sotto sforzo per contenersi; piuttosto l’albero sul ciglio della strada, che è se stesso, si prende spazio, si da voce, fa rumore. È il suo momento e basta: «primavera non bussa, lei entra sicura, come fumo lei penetra in ogni fessura» (F. De Andrè).
Se riuscissimo a esplodere con questa grazia, forse eviteremmo il collasso totale e irrimediabile. Se ci convincessimo che quello che ci passa dentro non è una colpa, ma una possibilità, eviteremmo di zittirlo. E se ci facessimo una carezza adesso, nonostante la sfuriata di ieri, della settimana scorsa, di un mese fa, potremmo già incominciare a sperimentare quest’altro modo di esplodere.
Bellissima riflessione. Soprattutto perché mette in evidenza uno dei frutti nascosti del nostro modo di vivere, della nostra società, nella quale ci insegnano a “performare”: a lavoro, a scuola, a casa, perfino nei luoghi dove dovremmo prenderci cura dell’anima.
Performare e fragilità…l’una nasconde, l’altra rivela. La prima fa rumore, l’altra tace.
Chissà se un giorno impareremo ad invertire l’ordine, partendo dalle nostre fragilità per performare in umanità.
La ringrazio per la bellissima riflessione e le auguro buona primavera!
Molto bello!