Le vent se lève, il faut tenter de vivre – Kaze takinu, iza ikemeyamo.
Si alza il vento, bisogna tentare di vivere.
Si narra di un mondo che non esiste più e forse non è mai esistito, di un amore grande e irraggiungibile quanto il cielo. In un’epoca in cui qualcuno saliva ancora sui tetti a guardare le stelle, vive Jiro, un giovane uomo idealista e sognatore, ispirato all’ingegnere aeronautico Jiro Horikoshi che lavorò alla Mitsubishi negli anni venti, vero progettista del Mitsubishi A6M1, storicamente noto come aereo da combattimento Zero e usato dai kamikaze durante la seconda guerra mondiale.
Questo film magnifico di due ore del maestro Miyazaki è commovente, è il contrario di questa quasi bestemmia censurata che è la nostra vita, è una preghiera al dio dell’amore, della vita, della morte. Una poesia, un canto e allo stesso tempo un grido alla natura umana, alla materia e allo spirito di cui siamo fatti. I sogni si confondono con la realtà, nei sogni ci si incontra, ci si dà l’ultimo commovente addio nel finale e l’invito a continuare a vivere perchè si alza il vento e bisogna tentare di vivere ancora. Attraverso la storia di Jiro si narra dello spirito, della dignità, dell’attaccamento al dovere del Giappone. Lo stesso regista è figlio di un ingegnere aeronautico.
Chi ha amato il precedente “Il castello errante di Howl” amerà anche quest’ultimo. Jiro e il suo idolo, il Conte italiano Giovanni Battista Caproni, realmente esistito e anch’egli ingegnere aeronautico, sognavano aerei che invece di bombe avessero a bordo passeggeri, ma il tempo di entrambi era governato da uomini poco saggi. Ognuno avrebbe potuto costruire il suo sogno. Un giorno si sarebbe alzato il vento e avrebbe persino scompigliato i capelli dei senza sogni. Il mio sogno sarebbe stato magnifico, il tuo sogno, il nostro sogno, il loro sogno. Essere in vita avrebbe potuto essere una cosa stupenda. Se anche un giorno non saremmo stati in grado di costruirci un aereo vero, ne avremmo fatto uno di carta e il vento lo avrebbe trasportato da Lei o da Lui, alla terrazza dove quel qualcuno si sarebbe affacciato a contemplare il paesaggio ad aspettarci.
Andrebbe dedicato a tutti, andrebbe visto e rivisto. Quando la moglie di Jiro, malata, gli chiede di non rinunciare al lavoro serale fuori fabbrica, ai suoi sogni, ma di avvicinarsi solo di più a lei e di tenerle la mano mentre se ne sta sdraiata, debole a letto, il cuore stanco e disilluso dello spettatore che sono ha fatto un balzo in avanti, verso i bottoni della camicia, si è ricordato di cosa significhi veramente amare. Chiunque sia capace ancora di emozionarsi e commuoversi vada a vederlo.