
Maria ed io abbiamo sempre cercato la libertà, ce la siamo imposta e, a volte, ne abbiamo avuto paura. Con una lanterna di Diogene, impregnata di verità, abbiamo accolto l’invito di don Vincenzo Chieppa, un amico prima ancora che una guida spirituale, un faro per la parrocchia San Paolo di Andria, testimone empatico di un Cristianesimo applicato. Ad attenderci, alla Masseria San Vittore, c’era Don Riccardo Agresti, responsabile del progetto “Senza Sbarre”, un inno alla redenzione, il suo, l’accorato appello alla misericordia condivisa, nel nome del Signore e delle seconde opportunità. Don Riccardo è appassionato, trascinante, apparentemente solo, ma a capo di buone intenzioni e meravigliose azioni, quelle per cui sia Dio ad illuminare le nostre scelte. Gli aneddoti, le storie, poi, sono cronache catartiche di uomini finalmente espiati, trasformatisi in farina divina, produttori di futuro. Proprio a Don Riccardo e a Don Vincenzo affidiamo il verbo che si fa nobile lavoro.
Ciao, don Riccardo. Quando nasce, come si è evoluto nel tempo e a chi si rivolge il progetto “Senza Sbarre”?
Il progetto nasce all’interno delle comunità parrocchiali dove io e don Vincenzo Giannelli, cofondatore del progetto, siamo stati parroci per tanti anni: la parrocchia Santa Maria Addolorata alle Croci e la parrocchia Sant’Andrea Apostolo.
Quando ci siamo resi conto che diversi papà non partecipavano mai a nessun incontro e veniva delegato tutto sempre solo alle mamme, abbiamo cominciato a domandarci il perché di questa assenza.
E così abbiamo scoperto che diversi uomini delle nostre comunità erano reclusi nella Casa Circondariale di Trani o in altre carcere d’Italia.
Abbiamo capito che era necessario fare qualcosa per incontrare queste persone ed abbiamo deciso di affiancare il cappellano del carcere di Trani per dei colloqui più assidui con i detenuti e per portare loro una maggiore cura spirituale.
Dopo qualche anno, abbiamo capito che però ciò che facevamo era insufficiente. Serviva fare qualcosa per ridonare loro la speranza di un futuro migliore, con nuove prospettive familiari, sociali e lavorative.
Da qui nasce l’idea di chiedere a Mons. Mansi, Vescovo di Andria, la possibilità di prendere in gestione la Masseria San Vittore per poter aprire una comunità residenziale e semi-residenziale per persone sottoposte a provvedimento privativo o limitativo della libertà personale.
SENZA SBARRE, vuole essere una opportunità, una possibilità per chi si trova a dover subire le criticità di un sistema da tempo in difficoltà, quale anello di congiunzione tra tutti gli aspetti del “DENTRO” e del “FUORI” e che caratterizzano la problematica.
Ma anche tutto questo non bastava. Serviva fare di più: dovevamo creare il lavoro.
La Provvidenza ci ha fatto incontrare un pastaio di Barletta che ci ha donato i macchinari e non solo: si è messo accanto ai ragazzi per insegnare come fare la pasta.
Poi le nostre strade si sono divise ed abbiamo cominciato, grazie ad una intuizione di una nostra dipendente, con la produzione dei taralli, anche se la qualità non era buona.
Con il tempo, la ricetta è stata migliorata ed ora i nostri taralli “A MANO LIBERA” sono richiesti anche fuori dalla Puglia con tanti attestati di stima.
Quale funzione assume la figura del detenuto all’interno della Masseria San Vittore?
La vita comunitaria nella Masseria di San Vittore, dove viene accolta la persona, si sviluppa attraverso attività strutturate e si svolge secondo una organizzazione fortemente esigente, con suddivisione di responsabilità e assegnazione di compiti, attraverso momenti formativi ed educativi di confronto di esperienze di vita.
Il progetto si basa anche sull’accoglienza di questi nostri fratelli all’interno di una comunità parrocchiale che li accoglie e li educa a stare insieme agli altri nel rispetto delle regole.
Dalle attenzioni di Amnesty International alla Riforma Cartabia, la produzione dei taralli può davvero rappresentare, simbolicamente e non, uno sprone correttivo migliore delle carceri italiane per Massimo, Davide e gli altri “redenti” alla Giustizia?
Assolutamente sì.
In questi anni abbiamo incontrato sulle nostre strade tanti volontari ed imprenditori, che hanno creduto fortemente in questo progetto e che ci stanno dando un grosso aiuto nel portarlo avanti.
Nonostante i due anni di pandemia, lo sviluppo lavorativo è stato notevole. Sono fortemente incrementati gli ordini ma c’è ancora tanto da fare ed i margini di crescita sono considerevoli.
Gli affidati si stanno impegnando in un percorso di rieducazione come recita l‘articolo 27 della Costituzione Italia: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Abbiamo potuto constatare, però, che ciò è solo un’utopia poiché in carcere non vi è alcuna rieducazione se non sporadici colloqui con educatori che sono assolutamente numericamente insufficienti.
Il carcere è semplicemente una scuola per chi vuole continuare a delinquere perché si ha la possibilità di instaurare o fortificare rapporti con criminali e mettere le basi per nuovi reati da commettere una volta usciti dal carcere.
Con una misura alternativa al carcere di comunità, come quella che proponiamo noi, questa catena viene spezzata e gli affidati sono accompagnati ogni giorno ad una vera revisione critica dei propri errori commessi nel passato.
Siamo consapevoli di essere agli inizi di un percorso di cambiamento di mentalità sociale ed ecclesiale.
È un’opera importante che è sorta nel meridione e la “ricetta del tarallo” è opera della Provvidenza che ora chiede a tutti voi di starci accanto, dandoci una mano a far crescere l’entusiasmo in chi chiede una “seconda possibilità” e si sta impegnando per riscattarsi.
Don Vincenzo, perché, a tuo parere, è stato opportuno concludere il percorso annuale degli adulti, “Fatti di voce”, con la visita alla Masseria San Vittore?
Ormai da tradizione consolidata nel tempo, il percorso formativo destinato agli adulti e alle famiglie, nella nostra parrocchia di San Paolo, è costruito sui valori e sulle modalità tipiche dell’Azione Cattolica. E in questo anno pastorale 2022/2023 il titolo del percorso FATTI DI VOCE, ha sintetizzato bene gli obiettivi che, come comunità abbiamo voluto raggiungere. La voce: non un semplice strumento, ma anche un modo per amare o disprezzare. E siamo fatti di voce, intanto perché creati da una Voce, dalla Parola, e dalla parola d’amore di chi ci ha messi al mondo. Ma siamo fatti anche di voce, perché la nostra natura è quella di raccontare, di evangelizzare, in qualsiasi contesto ci troviamo a vivere. Nella prima tappa abbiamo sentito l’urgenza dell’evangelizzazione perchè molti attendono un annuncio di speranza fatto sulla testimonianza di aver incontrato il Signore. Per arrivare alla testimonianza, nel nostro percorso abbiamo compreso come sia necessaria la cura dell’interiorità, da riscoprire anche quando, nella vita frenetica e nella comunità, risulta difficile ascoltare la voce giusta. Come ultima tappa, ci siamo soffermati sullo stile di Gesù che incontra ed ha compassione dell’umanità, perché vuole e ricerca con essa la comunione. Passa ogni giorno, e se lo accogli cambia la vita, ridona forza e speranza. <<Se vuoi, puoi purificarmi». E’ la risposta di Gesù al lebbroso. Doveva tenersi adeguatamente a distanza e rimanere in silenzio e, invece, comincia a parlare, perché sente che gli è restituita la parola. Egli vuole comprendere il desiderio di Dio su di sé.
La risposta di Gesù è diretta: stende la mano, tocca il corpo malato, contagiandosi Lui stesso dell’impurità religiosa e civile del lebbroso. Niente pause di riflessione, nessuna richiesta di spiegazioni. La sua iniziativa è netta e senza ripensamenti: Egli desidera la salvezza, la relazione non l’esclusione, la vita e non la morte, l’accoglienza e non il rifiuto. Ecco perché, a conclusione del nostro percorso, con l’equipe educativa, abbiamo ritenuto opportuno vivere questa esperienza, proprio nella logica di conoscenza di una realtà che, col il suo servizio, restituisce la parola, ridona dignità e costruisce l’autonomia e l’identità.