Sono ventotto, fra sacerdoti, laici e religiosi le persone che nell’anno trascorso hanno perduto nelle zone più difficili del pianeta la propria vita per la causa del Vangelo

I prati immensi del campo, racchiusi dalla splendida cornice di un cielo intensamente azzurro, erano popolati di fanciulli schiamazzanti.
Il bambino, incontenibile per la gioia, intinse nel barattolino pieno d’acqua e sapone la stecca sottile e, dopo aver ripetuto il gesto per altre tre o quattro volte, estrasse speranzoso il bastoncino bagnato, guardando attentamente, socchiudendo di poco gli occhi, per controllare se nel foro tondo più grande l’acqua avesse formato la lucida patina di sapone tanto attesa. Giochi di luce si formarono nel cerchietto di plastica, i raggi del caldo sole di quella giornata andarono a creare meravigliosi spettri di colore che facevano battere il cuore.

Portò delicatamente la stecchetta alla bocca e, dopo aver preso un gran respiro, soffiò con delicatezza, come se avesse paura di ferire, di rompere, di uccidere. Non fu che un flebile afflato, come quando il Signore alitò la vita nelle aride narici del primo uomo di terra.
Fece estrema attenzione nel modulare la forza del soffio, in quel momento nulla era più importante sulla faccia del pianeta.
Un sospiro creatore, un alito di vita, che, piano piano, fece tremolare sempre più quel gracile velo di schiuma. Il bimbo lo osservò con stupore, commosso, sempre spingendo piano con le gote gonfie del suo respiro, vedendo la superficie incurvarsi, pronunciarsi sempre, e ancora, e ancora…
Non desistette.
Era il momento più delicato di quel singolare parto, capì che doveva spingere, doveva osare, rischiando tutto per tutto, a un passo dal distruggere, a un passo dal creare. Non ebbe paura.

Gli si allargarono gli occhi, increduli, la creatura stava nascendo, bellezza antica e sempre nuova, si espandeva a sfera nello spazio.

Fu un instante: il cordone ombelicale fu reciso ed essa si stacco dalla sua mamma, perdendosi nell’aria fiera, libera, vorticando su se stessa spinta dai sapienti gemiti del vento. Si poteva vedere il mondo attraverso di essa, il turchese dei cieli, il verde dei prati, l’oro prezioso delle spighe che danzano nel loro ancestrale movimento.

Finché non venne scoppiata, crudelmente, dalla violenta manata di un bimbo cattivo. Non ne riusciva a sopportare la bellezza, la trasparenza, la fragilità, la libertà. Decise, istintivamente, che quella bolla doveva morire, senza un perché, senza una motivazione soddisfacente, ammesso e non concesso che alla morte ci possano mai essere delle motivazioni. Un ghigno, una smorfia di vittoria si disegnò sul volto del fanciullo, le piccole gocce della vittima di sapone si sparsero in un attimo a terra.

Una mano l’ha portata via.
Come quella che ha sparato a padre Vincent Machozi, che nella Repubblica Congoniana difendeva la popolazione dall’oppressione di gruppi armati, o quelle che hanno fatto a pezzi e poi nascosto don Darwin, viceparroco venezuelano ucciso per cause ancora sconosciute. O quelle ancora grondanti di sangue che hanno premuto il grilletto contro suor Veronica Rackova, uccisa dall’Esercito di Liberazione del Popolo Sudanese mentre accompagnava una donna in difficoltà col parto. O ancora, le mani assassine che hanno portato via don Jacques Hamel, mentre celebrava a 84 anni la Santa Messa in Normandia, morendo, piegandosi, spezzandosi sullo stesso altare – come ha ricordato papa Francesco – su cui si stava compiendo il sacrificio di Cristo che si fa Pane, Eucarestia.

Ventotto sono fra sacerdoti, laici e religiosi le persone che nell’anno trascorso hanno perduto nelle zone più difficili del pianeta la propria vita per la causa del Vangelo, per tutti quegli uomini e donne che hanno difeso, aiutato, amato fino a morire. Nel nome di Cristo, per amore di tutte quelle persone che sono spogliate fin nell’ultimo della dignità e diritti.

Vite di sapone, un sapone rosso sangue, riversato come bolle scoppiate su quelle terre lontane. Un sangue che non grida vendetta ma che rende fertili i terreni aridi dei cuori senza amore.

Mi piace immaginarli bisbigliare nell’attimo prima del martirio, a labbra strette, il ritornello del salmo 108: «Saldo è il mio cuore, o Dio… ti ho lodato tra i popoli, a te ho cantato inni fra le nazioni… grande fino ai cieli è il tuo amore»

Quei fratelli, ricordati lo scorso 24 marzo dalla Chiesa in una giornata di preghiera e digiuno, ci testimoniano la vera fedeltà, la mitezza, l’amore per i più deboli. Smascherano le piccole ipocrisie di ogni giorno, problemi frivoli che spesso ci intrappolano nella frustrazione. Questi fratelli, uniti a chi prima di loro ha visto la morte per Cristo, ci accompagnano nelle strade della vita come esempio e testimonianza.

Il loro ricordo certamente spingerà il bambino delle bolle a farne delle altre, tantissime, che vadano libere, coraggiose, fiere nel mondo a portare bellezza, libertà, gioia e speranza, senza paura di rischiare la loro incolumità.
Un piccolo segno, estremamente semplice come una bolla di sapone, ma che non passerà inosservato, mai, perché certamente l’odio è forte, è un grande nemico da combattere a suon di opere e preghiere, ma l’amore, nonostante tutto, lo è di più.