«In una rivoluzione non si può consentire ad estranei di aiutarvi, né a chiunque altro di sapere più di quel che deve sapere»

(Hernest Hemingway)

Caro lettore, adorata lettrice,

la citazione di apertura che oggi ti propongo è celebre: è tratta da Per chi suona la campana. Il senso mi pare ovvio: non si può preparare una rivoluzione e darne prima annuncio sui giornali, pena auto-votarsi miseramente al fallimento.

Hemingway è ancora più incisivo: non solo gli estranei non devono sapere, ma persino “chiunque altro”. Ergo: quando si mette in atto una rivoluzione, chiunque deve essere trattato come fosse un estraneo, fosse pure la persona a noi più intima. Può piacere o no, Hemingway la pensa così.

Ed anzi aggiunge: «Egli aveva imparato questo: se una cosa è giusta nella sostanza, le menzogne di contorno non contano. C’erano però una quantità di menzogne. In principio, quel mentire non gli piaceva. L’odiava. Poi, più tardi, gli era perfino piaciuto. Era inevitabile, quando uno si trovava al centro delle cose, ma era una faccenda che corrompeva».

E così è partita, col solito loop, la mia riflessione.

Mi sono chiesto: chi di noi non affronta cambiamenti imprevisti nella vita? chi, prima o poi, non è attraversato da una rivoluzione? e, se così è, dunque siamo tutti mentitori, tutti in grado, di punto in bianco, di trattare da estranei parenti, amanti e amici?

Ebbene, pare proprio di sì.

E ancora: la giusta causa di una menzogna ci assolve da ogni ombra? o piuttosto ci corrompe perché una menzogna tira l’altra, proprio come con le ciliegie, che tra un po’ tingeranno di rosso le nostre tavole?

La risposta di Hemingway la conoscete già.

Io, a cui restano sempre meno capelli e sempre più bianchi, sto tuttora imparando a riconoscere il valore delle mezze tinte, del chiaroscuro, di ciò che non è mai del tutto bianco né del tutto nero. Sono così portato a pensare che a volte la vita ci forzi la mano, ci porti dove non avevamo previsto, ci costringa a scelte ardue e a conseguenze ancor più gravose.

Una volta, più di trent’anni fa, una coppia di coniugi da me molto ammirata venne a portare la propria testimonianza di vita matrimoniale ad un gruppo di giovani. Ad un certo punto, lei ebbe a dire: «Amare una persona non significa dovergli dire sempre tutto. A volte, per amore si deve tacere, finanche mentire».

Fu un’affermazione che mi lasciò esterrefatto, sferzando il mio moralismo disincarnato. Naturalmente, presentai immediatamente la mia obiezione: «E perché mai si dovrebbe agire così?». «Per proteggere l’amato», fu la risposta.

Ora, io non lo so chi tra Hemingway e la mia vecchia amica abbia ragione. Sono propenso a ritenere che, almeno in parte, l’abbiano entrambi.

Noto, tuttavia, un discrimine: per il primo, pur di conseguire il proprio fine, l’amato diventa un estraneo e come tale viene trattato; per la seconda, pur di proteggere l’amato, ci si violenta sino al silenzio.

In altri termini: le apparenze possono ingannare e, come spesso succede, non è detto che due persone che sembrano fare la stessa cosa, in realtà la stiano facendo per davvero.

Ai posteri l’ardua sentenza, insegna papà Alessandro.

Jane Austen: «Non sempre chi sorride è felice. Ci sono lacrime nel cuore che non arrivano agli occhi».

Albert Camus: «Io mi ribello dunque esisto».

Luciano De Crescenzo: «La vita potrebbe essere divisa in tre fasi: Rivoluzione, Riflessione e Televisione. Si comincia con il voler cambiare il mondo e si finisce col cambiare i canali».


FontePhotocredits: Paolo Farina
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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...