
Il tempo della verità
Gli occhi celesti sgranati sul pacchetto appena ricevuto, Luca guardava quell’uomo e si chiedeva dov’era il padre che lui ricordava.
Era alto suo papà, alto e bello, con occhi celesti come i suoi. Lo aveva sempre portato con sé, suo padre. L’uomo alto e bello che ricordava.
E ora che alto e bello lo era diventato anche lui, guardava quel tizio, dai capelli rasi e dallo sguardo velato, che portava sul volto le incisioni profonde del dolore e del tempo, quasi richiuso su se stesso, e si chiedeva – Chi sei? Veramente sei lui?
Rigirava tra le mani il pacchetto e non sapeva che fare. Come avrebbe dovuto reagire?
– Non lo apri? Non sei curioso di vedere cosa contiene? – gli disse il tizio, sorridendo mestamente.
– Non trattarmi come un bambino – avrebbe voluto rispondere ma tacque.
Luca rigirava il pacchetto tra le mani e teneva lo sguardo basso.
– Forza, aprilo – insistette il tizio.
Sua madre lo aveva allertato. – Sentiti libero di andare – gli aveva detto quando gli aveva comunicato di quella visita giunta dopo tutto quel tempo.
Erano bambini, i suoi figli, quando aveva dovuto allontanarli da lui. Li aveva visti confusi e poi tristi, arrabbiati, feriti e aveva lottato con tutte le sue forze per dar loro l’impressione che ogni cosa fosse sotto controllo. Aveva azzannato i cuscini, ogni notte, i primi tempi, perché loro non sentissero le sue lacrime di rabbia, di disperazione e infine ci erano riusciti. A sorridere di nuovo.
Poi, dopo tanti anni, era arrivata quella telefonata e quella richiesta.
– Sono in paese – aveva detto lui – Posso vedere il piccolo?
– Il piccolo? – aveva risposto sarcasticamente lei – Il piccolo ha 15 anni.
– Lo so – aveva replicato lui – Posso vederlo? Ho un pensiero per lui.
Fu allora che lei, finalmente, liberò la sua rabbia – Uno solo? Certo, non potevi pensare a lui mentre eri intento a distruggere la nostra vita.
– La mia. Era la mia vita che era distrutta. Che è distrutta. Forse. O forse no. Prese fiato e tacque. E tacque anche lei.
E rivide le notti passate ad aspettarlo sveglia perché non facesse rumore, rientrando. E rivide il suo volto sconvolto dall’alcool e da chissà cos’altro – era bello lui, con i suoi occhi di cielo – riannusò il tanfo del suo respiro, sentì nelle sue ossa la fatica fatta per rimetterlo in piedi quando non ce la faceva neanche a trascinarsi in casa e cadeva lì, ai suoi piedi, nell’ingresso.
– Posso vederlo? – chiese ancora – Sono guarito. Ora.
Fu un attimo che durò un’infinità e poi lei disse lentamente – Glielo chiedo domani. È grande ora, deciderà da solo.
– Grazie – fece lui.
– Ora lo dirà – pensò lei.
Lui tacque e riattaccò.
– Che ti aspettavi? – si disse mentre le lacrime la inondavano. Si mordicchiò le labbra, le serrò e si asciugò in fretta il viso prima che il dolore si depositasse su di esso.
Luca acconsentì. Non sapeva neanche lui perché ma scelse di incontrarlo.
Lei tirò fuori la camicia bianca delle grandi occasioni, lui pretese i suoi jeans, quelli che lei odiava –Ma dove vai così strappato? – gli diceva ogni volta e lui – Si usa, ma’. Sei antica – e ridevano.
Questa volta non replicò, lo lasciò andare pensando – Com’è bello! E come è diventato alto. Tutto suo pa…- e si morse il labbro.
Luca aprì finalmente il suo pacchetto.
Un orologio. D’oro.
– Era del nonno – gli disse suo padre – Ora sei grande. Tienilo tu. È l’unica cosa che avevo di lui. Non l’ho mai conosciuto.
– Mi è mancato molto, non avere un padre. L’ho scoperto laggiù.
– Laggiù dove? – gli chiese Luca.
E lui capì che suo figlio non conosceva nulla della sua storia. Che lei non aveva parlato. – Chi aveva voluto proteggere? Cosa aveva mai potuto pensare suo figlio?
Alzò lo sguardo su di lui – com’era bello, suo figlio – i loro occhi si specchiarono e nel cielo limpido degli occhi del ragazzo trovò la forza di raccontare, dell’alcool e dell’altro, dei soldi che non bastavano mai, della voragine del suo dolore che si dilatava sempre di più e che aveva finito per ingoiare tutto, della disperazione della lontananza, della solitudine, della battaglia incessante e terrificante per ricominciare a vivere dopo essere morto in continuazione. Laggiù. Dove lo avevano aiutato a ritrovarsi.
– Mi sei mancato – concluse – Mi siete mancati. Mi dispiace avervi fatto soffrire.
Luca lo aveva ascoltato in silenzio ed ogni domanda, passata dalla sua mente in tutti quegli anni, aveva trovato risposta.
Chiaro. Ora era tutto chiaro e non c’era più rabbia nel suo cuore – grande donna sua madre; lo aveva avvolto nell’amore – solo una grande commozione per quell’altro bambino, che vedeva lì davanti a lui, vestito da grande.
Riguardò l’orologio e lentamente lo indossò. Si rimirò il braccio e lo mostrò a suo padre, come se nulla fosse stato detto – È un bell’orologio – esclamò – non da andarci a scuola, ma da conservare per le belle occasioni, quando mi vesto elegante, come piace a mamma.
– È un orologio da uomo – gli disse suo padre – Sei grande ora.
– Già. Sono grande. Sediamoci che ti racconto…