Quando le campagne transnazionali per l’igiene e contro la fame nel mondo?

Ancora una volta il ciclo comune della vita nel mondo ci ha fatto capire come siamo interconnessi, accesi in un’unica e irrinunciabile umanità universale ma spenti nelle ingiuste sedimentazioni storiche di diseconomie ed oscurantismi sociali. La portata pandemica del Codiv-19 sta rappresentando una ulteriore conferma di come non possiamo vivere un’intera vita voltandoci dall’altra parte rispetto alle dinamiche esistenti sulle altre facce della Terra, perché siamo connessi, inevitabilmente, e la storia delle colonizzazioni e dei tradizionali rapporti internazionali di forza ce lo mostra.

I nostri territori italiani sono attraversati, per una manciata di voti elettorali in più, da populismi e irresponsabilità civiche che alimentano la xenofobia e l’anti-coscienza. Nei bassofondi della retorica uno dei problemi dell’Italia culturale e dell’Europa geografica sarebbe l’Africa. Non è così in realtà. A proposito direaltà, sono curioso di capire cosa sta accadendo in un pezzettino d’Africa chiamato Kenya, ed in particolare a Nairobi. Dialogherò pertanto con Ettore Marangi, frate francescano attivo nella sua missione a Nairobi.

Ettore, da quanto tempo, per conto di quale organizzazione – in caso – e perché sei andato in missione in Kenya, a Nairobi?

Sono a Nairobi da circa otto anni e ho deciso di partire io stesso, come frate francescano. Ho chiesto di andare in missione, stare tra i poveri e fare teologia per i poveri e con i poveri. Si creò l’occasione di venire a Nairobi, dove non lavoro con organizzazioni già costituite ma con organizzazioni create insieme a tanti fratelli e sorelle che ho incontrato a Nairobi. Abbiamo una community base organisation – comunità di base con la baraccopoli che frequento. Abbiamo anche una piccola impresa africana e una fondazione che si occupa di bambini di strada.

Quali urgenze e disagi riscontri nella vita delle persone che abitano nelle baraccopoli?

Le baraccopoli del Kenya sono tra le più grandi dell’Africa, e tra le più grandi al mondo. Nairobi è piena di baraccopoli. Le baraccopoli nascono in quei Paesi africani che hanno scelto un modello di sviluppo molto liberista, luoghi in cui il gap tra le classi sociali si è allargato a dismisura, per cui la gente lascia le campagne per venire in città e divenire guardiani o giardinieri dei ricchi. Ecco perché le baraccopoli sono formate da persone che lavorano per l’equivalente di due o tre euro al giorno per i ricchi, e poi ci sono persone che guadagnano anche meno dell’equivalente di due o tre euro. Queste sono forme di schiavitù contemporanea. A livello di vita nelle baraccopoli non sempre ce la fai, e si generano fenomeni come l’alcolismo, la prostituzione, i ragazzi di strada, e altri problemi legati alla estrema povertà, come problemi con l’igiene e la salute.

Quali sono i punti di forza nella cultura e nei valori che ti circondano quotidianamente in quel pezzettino di Africa?

Per quel che riguarda i punti di forza e i valori culturali, nelle baraccopoli si incontrano persone ridotte all’essenzialità, in mezzo a situazioni di disfacimento, perché la vera cultura africana si trova nei villaggi, non nelle baraccopoli. Si trovano persone ridotte alla loro autenticità e i discorsi che si fanno sono reali, non masturbazioni mentali. La parola non è utilizzata in modo retorico e si ha la possibilità di incontri autentici, veri, basati sulla vita vera. Questo è sicuramente un punto di forza, con relazioni autentiche. Rimane l’attitudine africana che è l’attitudine ad essere comunità. La persona è comunità. La persona è le persone. Questi sono valori che noi abbiamo perso. Per esempio posso benissimo affidare bambini di strada a mamme che se ne prendono cura come se fossero i propri figli. Altri valori sono la spiritualità che nella sua essenzialità consiste nell’andare oltre l’apparenza. C’è un serbatoio di speranza e di immaginazione che noi non abbiamo più.

Quali piaghe politiche riscontri in Kenya ed in particolare a Nairobi?

Dal punto di vista politico i problemi del Kenya sono iniziati con la colonizzazione britannica che ha intelligentemente messo le tribù le une contro le altre, e ha creato una classe di éliteche continuava e rendeva possibile lo sfruttamento. Poi gli inglesi se ne sono andati, sulla carta, in realtà gli inglesi non se ne sono andati. Gli inglesi hanno pagato le ultime due elezioni del presidente della repubblica e questo fa capire come siano molto presenti. Quando sono andati via questa élite ha iniziato a sostituirli nel processo di sfruttamento, e infatti uno dei libri proibiti più famosi che circolano sottobanco in Kenya, si chiama “Adesso tocca a noi mangiare”. L’élite ha rimpiazzato i britannici. C’è gente in Kenya che possiede latifondi grandi quanto la Sicilia, e c’è il problema della terra e della corruzione della classe politica che impone il modello della apparente democrazia occidentale, ignorando la cultura e i valori della popolazione. A me piace molto una affermazione di un teologo del Camerun, che è stato ucciso, e che diceva che la vera povertà africana è antropologica, non economica. I colonizzatori hanno fatto credere agli africani che il loro dio è un burattino, che le loro lingue non hanno alcun valore rispetto a quelle occidentali, che le loro lingue sono primitive, la loro cultura primitiva, infantile, e che anche i loro nomi sono sbagliati. Infatti questi ultimi, una volta catechetizzati hanno assunto un nome inglese nel caso specifico del Kenya. Chiaramente non facendo riferimento ai loro valori, culture e radici si può creare uno stato di schiavi perfetti.

Grazie per le tue parole, caro Ettore…

Grazie a voi e ai lettori di Odysseo!

Oltre a sperare che nel mondo ci siano sempre persone pronte a mettere in discussione la propria esistenza per comprendere dal vivo e stare insieme alle persone che attraversano situazioni disperate di miseria strutturale, vorrei che al varco delle nostre piazze e delle nostre istituzioni nazionali e sovranazionali nordico-occidentali si ripartisse con una nuova primavera dei diritti umani mondialisti.

Nella auspicata e urgente primavera mondialista, radicale nella promozione dei diritti umani, politici, civili e socioeconomici dei Paesi in forte disagio, non potrà mancare un arcipelago cronologico e spaziale di appuntamenti transnazionali con campagne per la lotta alla fame e alla malattia nel mondo. Il Covid-19 ci ricorda l’urgenza dello stare sempre in piedi, scomodi, sempre pronti a promuovere una cultura libera e diversa che faccia fiorire le condizioni strutturali e relazionali affinché sanità, istruzione, socialità anticriminogena e Stato di diritto umano contro ogni forma di corruzione politica siano vessillo e sostanza delle “cose” che si agitano nella neo-immanenza e nella oltre-contemporaneità.


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Luigi Trisolino, nato l’11 ottobre 1989 in Puglia, è giurista e giornalista, saggista e poeta, vive a Roma dove lavora a tempo indeterminato come specialista legale della Presidenza del Consiglio dei ministri, all’interno del Dipartimento per le riforme istituzionali. È avvocato, dottore di ricerca in “Discipline giuridiche storico-filosofiche, sovranazionali, internazionali e comparate”, più volte cultore di materie giuridiche e politologiche, è scrittore e ha pubblicato articoli, saggi, monografie, romanzistica, poesie. Ha lavorato presso l’ufficio Affari generali, organizzazione e metodo dell’Avvocatura Generale dello Stato, presso la direzione amministrativa del Comune di Firenze, presso università, licei, studi legali, testate giornalistiche e case editrici. Appassionato di politica, difende le libertà e i diritti fondamentali delle persone, nonché il rispetto dei doveri inderogabili, con un attivismo indipendente e diplomatico, ponendo sempre al centro di ogni battaglia o dossier la cura per gli aspetti socioculturali e produttivi dell’esistere.