
Sono quasi duemila anni che per migliaia e migliaia di persone è e sempre sarà lo stesso giorno
La montagna era casa e tempio e faceva ombra buona, con quell’onda sul ciglio, quelle pendici verdi verdi, sempre ferma, sempre certa. Diede un rigurgito potente che parve ritrarsi, poi esplose, tolse da sè il tappo in un tempo fermo e ruggì tutto ciò che poteva con una violenza inaudita e assordante. Arrivava direttamente dalle viscere della terra. Si alzò una colonna di fumo alta che bucava il cielo, il sole dell’ora calda si oscurò e la domenica da normale divenne eccezionale. Tutti gli abitanti della città si voltarono. Non compresero subito, non sapevano, non sarebbero stati lì se avessero sospettato che la montagna era porta degli inferi, pericolosa fucina attiva del dio Vulcano.
Si fermarono nelle loro occupazioni dell’ora di pranzo. Le tante botteghe con gli usci spalancati, le anfore piene di bontà tenute calde, gli odori frammisti agli olezzi della strada. Vespasiano o Tito, Roma governava la città brillante, viva, importante. Un gruppo esiguo di gladiatori si stava ancora allenando, erano i meno famosi. Corinna scostò la tunica che lambiva il marciapiedi perchè non si bagnasse, bella come una dea, mentre i guidatori dei carri le fischiavano. Un marinaio appena sbarcato cercava il lupanare più vicino. Cornelio il mercante si compiaceva del buon incasso facendo tintinnare il sacchetto pieno di sesterzi e sorridendo. I bimbi si rincorrevano alle fontane, uno sbattè contro un vecchio dalla tunica bianca. Era Lucio Caio Secondo, candidato alle elezioni, che girava pensoso, fiducioso di farcela.
Tutti diversi, tutti uguali in quell’attimo in volto, gli occhi puntati al monte.
Seguirono l’istinto delle viscere, il primo cervello che li divise sommariamente in due modi: i fifoni o previdenti fuggirono. I coraggiosi o incauti rimasero.
Al rombo e al fracasso seguì vento, pioggia di pietre, sibili ed Eolo in persona. Il mare si ritrasse.
Le clessidre scandirono il tempo della tregua illusoria, l’attimo dello scampato pericolo. Forse l’ira era placata.
Fu allora invece che il fumo denso crollò vorace sulle ville pompose e sulle bettole colorate, sui teatri di marmo bianco e sui templi. Si prese tutto, chiuse tutto, suggellò tutto. Il cielo infine si inchinò alla terra, le anime si contorsero, per Giove e Plutone e Iside e per tutti i Lari.
Rubria e Elio Polibio riuscirono a stringersi al buio, al solito posto, Venere con loro.
Una schiava venuta dall’oriente, nella sua stanza in ginocchio, pregava il suo nuovo dio appeso in croce.
Il tempo si inceppò.
Il lascito fu uno strano dono: sono quasi duemila anni che per migliaia e migliaia di persone è e sempre sarà lo stesso giorno.
Pompei, 24 ottobre del 79 d.C.