“Incipit Comoedia Dantis Alagherii, Florentini natione, non moribus”
Constatiamo ogni giorno che il mondo è attraversato da un clima di odio senza precedenti.
L’umanità è oggi di fronte ad un baratro e, mentre qualcuno progetta di spostarsi su Marte, c’è chi sostiene, al contrario, che c’è un solo pianeta e che è indispensabile un cambio radicale sia nei rapporti fra l’umanità e la natura che nei rapporti fra i popoli.
Rapporti fra i popoli significa rapporti fra religioni e culture, ma oggi vediamo politici e media inneggiare al nazionalismo, all’ortodossia più retriva; li vediamo fomentare l’odio, la chiusura delle frontiere, la deportazione e lo sterminio.
Sebbene siamo inondati di messaggi-spazzatura non dobbiamo dimenticare che in tutte le epoche grandi uomini, menti oneste e cuori nobili hanno sempre cercato di costruire ponti fra le culture e le religioni, hanno sempre cercato di conciliare, unire le culture e le religioni, vedendo in questa varietà un segno di bellezza e grandezza.
Per questo motivo ho pensato di scrivere una piccola serie di articoli sui pionieri dell’interculturalità, della conciliazione fra le culture e le religioni.
E ho pensato di incominciare dal pioniere di interculturalità per eccellenza: Dante Alighieri.
“Incipit Comoedia Dantis Alagherii, Florentini natione, non moribus”.
Comincia così la Commedia di Dante Alighieri, che si autodefinisce fiorentino di nascita, di nazionalità, non per i suoi principi morali e la sua condotta. Un traditore, dunque? Tutt’altro, Dante aspira ad una giusta condotta morale e la trova non sotto la gretta e violenta insegna municipale, ma nel segno dell’universalità, nel segno dell’interculturalità. Infatti nel Convivio prima e nella Commedia poi, Dante attinge a tutte le culture del passato e del presente, senza chiusure. Vediamo qualche esempio per poi chiederci quale fu la base di tanta modernità, di tanta apertura mentale.
Il principale segno della interculturalità di Dante è la lingua: Dante scrive in latino (versi e prosa), in volgare, nel XXVI canto del Purgatorio in provenzale: non si pone confini e finisce col diventare il “demiurgo” della lingua italiana (Migliorini), il creatore di una lingua nuova.
La prima sua avventura interculturale ha come matrice la cultura provenzale, attraverso la mediazione di un poeta bolognese, Guido Guinizelli e del fiorentino Guido Cavalcanti, il maestro giovanile di Dante.
Nel XIII secolo la conoscenza della filosofia greca era limitata, bisognerà attendere l’Umanesimo quattrocentesco per disporre dell’opera completa di Platone e Aristotele: per questo Dante recupera molto della filosofia aristotelica e platonica attraverso i filosofi mediorientali, citati più volte nel Convivio. Cita Al Farabi (870-950) per spiegare il verso “Amor che nella mente mi ragiona”; cita l’astronomo Albumasar, cioè Abu Mashar al Balkhi (787-886); ripetutamente il grande scienziato persiano Avicenna, Ibn Sina (980-1037); Algazel, maestro sufi, a sua volta influenzato dal neoplatonismo greco (1058-1111 e, last but not the least, Averroè , Ibn Rushd (1126-1198), di cui Dante celebrerà nel X canto del Paradiso l’allievo Sigieri di Brabante, da molti considerato un eretico.
L’Alighieri non pone innanzi alla conoscenza questioni di identità nazionale o religiosa: nel nobile castello dell’Inferno (IV canto) preserva dalle fiamme i saggi di tutte le culture nati prima di Gesù e non esita a salvare Avicenna, il Saladino (Salah-ed din Yusuf) e Averroè, “che il gran comento feo”, il commento di Aristotele. E’ interessante osservare che Dante è molto rispettoso della cultura filosofia e scientifica araba e persiana di matrice islamica, ma molto meno della religione islamica: troviamo infatti Maometto e suo genero Alì, fondatore dell’Islam sciita, nel fondo dell’Inferno (canto XXVIII), orridamente mutilati.
Analoghe considerazioni sono possibili per la cultura francese, tedesca e britannica e non a caso si è a lungo parlato di un Dante cittadino europeo ante litteram.
Cosa rispondere a chi vuole una lettura nazionalistica se non addirittura razzista e fanatica di tutto? Cosa dire a chi vorrebbe rileggere la storia saturando i social con fake news e falsità?
Rispondiamo andando a rivedere la base della modernità e dell’apertura mentale di Dante, un uomo “medievale”.
Dante fa proprio il principio dei quattro sensi delle scritture e dice che ogni opera, in senso lato ogni fenomeno, deve essere letto in senso letterale, morale, allegorico e anagogico (Convivio, II, 1). Il senso morale “è quello che li lettori deono intentamente andare appostando per le scritture ad utilitade di loro e di loro discenti”: un significato che i lettori devono consapevolmente cercare per il proprio e l’altrui beneficio.
Bisogna dunque guardare alle motivazioni di certe forzature invece che inseguirle in dibattiti inutili e provocatori. All’opposto, chi è animato da motivazioni costruttive, potrà sempre mettere a frutto le differenze, creare ponti, arricchire la propria cultura. Questo mi pare il senso profondo dell’interculturalità.
Quanta grande importanza e credibilità è stata data all’uomo posto al centro del creato in piena libertà. L’uomo pertanto è stato messo in condizione di rendere, attraverso la propria volontà, tutto quanto ricevuto in dono, bagaglio di crescita dignitosa e armoniosa o al contrario di discesa nel profondo degli abissi, dove non c’è dignità e la libertà diventa oggetto di mostruosità.
La “centralità dell’uomo” è degenerata in antropocentrismo: il punto di rottura è la perdita, da parte dell’uomo, del rispetto della natura, che è diventata proprietà della razza umana, con tutte le conseguenze che vediamo. Saremo capaci di correggere la rotta?