Uguali nella diversità
“Il ragazzo dai pantaloni rosa” non è solo il fenomeno cinematografico del momento, ma è la scrittura di denuncia, l’azione di protesta, la sensibilizzazione di massa che Teresa Manes, madre di Andrea Spezzacatena, dedica a suo figlio morto suicida a 15 anni.
Andrea è felice nel rendere felici gli altri, trova nella sua amica Sara una comfort zone indistruttibile, vive con Christian un rapporto ambiguo e deleterio, una sorta di captatio benevolentiae che si rivelerà, poi, fatale.
Un lavaggio sbagliato, una scuola sbagliata, l’inconsistente istruzione che non educa ma promuove a ruoli sociali impregnati di successo e arrivismo, la Teresa Manes della pellicola è una Claudia Pandolfi ficcante e pugnace, una donna che si separa da suo marito Tommaso e si avvicina ai due suoi figli, dando loro la parola, anche post mortem, nel caso di Andrea, riprendendo la tecnica narrativa già sperimentata in “Amabili resti” e “Viale del tramonto”.
La bravura recitativa del cast, in particolare della giovane Sara Ciocca, va di pari passo con quello della regista Margherita Ferri, il plot è fatto di climax e puntualità che non lasciano presagire alla tragicità del finale, il tutto scorre sul filo sottile del bullismo travestito da gentilezza, è l’accettazione sociale che da internet arriva sulla pista da ballo, è lo scherzo divenuto scherno, è un abbraccio che sa di addio, la forza dell’empatia che vien meno di fronte alla logica della sopravvivenza.
“Il ragazzo dai pantaloni rosa” è il miglior strumento pedagogico del 2024, un vademecum da tenere sempre a mente per essere uguali nella diversità.