3 ottobre, Giornata della Memoria e dell’Accoglienza

Il 3 ottobre del 2013 l’allora sindaco di Lampedusa, definì la tragedia del naufragio e della morte di 368 personedonne, uomini e bambini “un tappeto di carne umana” che galleggiano inermi sul mare.

Quel giorno avrebbe dovuto scuotere le nostre coscienze e accrescere la vista. In un solo attimo il Mediterraneo ha portato via la vita a tante persone. Persone partite con la speranza di un futuro migliore, fuggite dalla guerra, dalla sofferenza, dalla miseria, dalla non possibilità di amare liberamente.

Dal 2014 sono oltre 25 mila le persone morte o disperse nel Mediterraneo mentre cercavano di raggiungere l’Europa. Lo rivela la Fondazione ISMU (Iniziative e Studi sulla Multietnicità) in vista del 3 ottobre, Giornata della memoria e dell’accoglienza in cui si ricorda il naufragio al largo di Lampedusa.

E in questo “il viaggio verso l’Italia – spiegano dalla Fondazione – si conferma il più pericoloso: è sulla rotta del Mediterraneo centrale che si registra da sempre il più elevato numero di morti e dispersi. Ovvero 1.088 dal primo gennaio al 25 settembre 2022 su un totale di 1.473 su tutte le rotte del Mediterraneo. Tra questi 60 erano bambini”.

La rotta mediterranea resta la più mortale, “con il 43% di tutti i migranti morti e dispersi nel mondo nei primi nove mesi del 2022, ma non è l’unica. Crescono i decessi sulla rotta americana che nel 2022 sono un quarto di quelli mondiali, mentre diminuiscono quelli in Africa (16% del totale mentre nel 2020 era il 30%), ma a causa del conflitto in Ucraina è in crescita la percentuale di migranti morti e dispersi sul territorio europeo (3,7% del totale nel 2022 contro il 2% nel 2020)».

Perché partire? Perché affrontare il mare in condizioni brutali con il rischio di morire atrocemente? Perché abbandonare la propria terra?

– Alessane ha solo 16 anni quando decide di lasciare la Libia per partire verso l’Italia. Prima 5 giorni nel deserto del Sahara, poi un mese di prigione. 20 compagni uccisi senza una ragione. Evasi dal carcere, due giorni di cammino per raggiungere Tripoli. Lì c’è la nuova prigionia dei commercianti di organi: o il lavoro forzato o la morte. Guadagnata la libertà con il lavoro riparte il viaggio verso la costa. Ma ancora una volta arrivano i trafficanti, la storia è la stessa: o paghi o muori. Alla fine soltanto si salpa.

“Non augurerei mai a nessuno quel viaggio, si può solo morire o soffrire. Ho visto uomini sparare nel fianco di altri uomini che volevano solo tenere con sé una borsa, bambini trucidati senza pietà”.

– Dal Pakistan all’Iran il viaggio è pieno di insidie naturali e umane. Il tutto si complica se devi farlo a piedi. Così è iniziato il viaggio di Muhammad verso l’Occidente. Dall’Iran alla Turchia senza cibo per una settimana: due compagni morti per fame. Quattromila dollari è la cifra da sborsare per raggiungere il mare in Turchia; per fortuna Muhammad ha suo zio che paga la traversata. Raggiunta la Grecia via mare, il tragitto prosegue via terra per Grecia, Macedonia, Serbia, Rep. Ceca, Austria, Germania, Svizzera e infine Italia. Senza cibo. Muhammad ha lasciato moglie e tre figli in Pakistan.

Perché lasciare moglie e figli in Pakistan?

Nella maggior parte dei casi i gruppi di guerriglieri non fanno male a bambini e donne. Mentre la sorte dei ragazzi e degli uomini è diversa: se non hai la barba muori; se non preghi muori; se non ti arruoli muori; se non raggiungi l’obiettivo muori. Subiscono il lavaggio del cervello e se non accettano di fare il kamikaze minacciano moglie e figli. Quando lasci il paese invece sanno che sei fuggito, sanno che la tua famiglia non conosce la tua posizione e non torturano i tuoi cari.

– Una fuga per trovare la serenità di essere sé stessi. Gabriel, 18 anni nigeriano, inizia il viaggio con sua sorella: nel suo paesino l’aria si sta appesantendo, perché lei è lesbica. Il cammino verso la Libia inizia con tre persone, due uomini e una donna, ma giunti al confine vengono rapiti. Tre uomini violentano sua sorella e un altro mantiene fermo Gabriel per costringerlo a guardare ciò che stava succedendo. Lei morirà tra le braccia del fratello dopo essere stata lasciata esanime in una pozza di sangue.

“Ho pensato di morire anche io, di dolore e di tormento, mentre mia sorella si spegneva tra le mie braccia. È stata lei a dirmi: Vai e continua il nostro viaggio, il mio finisce qui”. Gabriel è in Italia, ad Andria, da circa quattro anni.

Queste sono storie di alcuni migranti accolti da diversi volontari e operatori che da anni svolgono questo servizio per il recupero dell’umano e della sua rinascita. Un percorso lungo e faticoso, di circa vent’ anni dove si sono applicati i quattro verbi utilizzati da Papa Francesco per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2018: accogliere, proteggere, promuovere e integrare.

È dalle storie umane che hanno un nome e un volto che bisogna partire, perché sono gli spazi relazionali umani che sanno dare coraggio, calore, ascolto e sostegno alle fasce più deboli per creare alternative concrete di speranza, di futuro, di emancipazione.

Oltre all’accoglienza la vera integrazione è la cura, l’inserimento lavorativo e l’autonomia abitativa.

Il creare opportunità lavorative da parte della comunità ecclesiale non è un peccato ma diventa uno strumento per ridare dignità e rendere libero l’individuo. Il lavorare insieme, all’interno dei laboratori, ha permesso a diversi migranti di ritrovare quella forza e quel coraggio per riunire quei frammenti di Sé, ripensando e orientando il proprio progetto di autonomia sociale e lavorativa.

È questo un tempo nuovo per tutti e la necessità diventa virtù. La nostra scelta di prossimità testimonia, ancora una volta, che operare nel solco della carità significa concretizzare con coraggio azioni educative mirate al bisogno reale di ogni persona in quanto unica ed inimitabile. Ci piace pensare ad un “welfare di relazione” che si sostituisce o, meglio, arricchisce quello “istituzionalizzato” che talvolta “garantisce” solo risposte attraverso rigidi schemi organizzativi e burocratici. Che sia sociale, economico e istituzionale, oggi bisogna promuovere su tutti il “modello umano” di relazioni per favorire risposte solide e coese e rafforzare la rete di servizi e di solidarietà già esistenti. Il Covid-19 prima e la guerra in atto ora ci hanno tolto tanto, ma altresì ci hanno messo sotto gli occhi l’essenziale, finora invisibile.


FonteFoto di Marco da Pixabay
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So che tutto ha un senso. Nulla succede per caso. Tutto è dono. L'umanità è meravigliosa ne sono profondamente innamorato. Ciò che mi spaventa e mi scandalizza, non è la debolezza umana, i suoi limiti o i suoi peccati, ma la disumanità. Quando l'essere umano diventa disumano non è capace di provare pietà, compassione, condivisione, solidarietà.... diventa indifferente e l'indifferenza è un mostro che annienta tutto e tutti. Sono solo un uomo preso tra gli uomini, un sacerdote. Cerco di vivere per ridare dignità e giustizia a me stesso e ai miei fratelli, non importa quale sia il colore della loro pelle, la loro fede, la loro cultura. Credo fortemente che non si dia pace senza giustizia, ma anche che non c'è verità se non nell'amore: ed è questa la mia speranza.