
Con tante domande che ancora attendono risposta…
“Giovanni, ho preparato il discorso da tenere in chiesa dopo la tua morte: ci sono tante teste di minchia, teste di minchia che sognano di svuotare il Mediterraneo con un secchiello… quelle che sognano di sciogliere i ghiacciai del Polo con un fiammifero… ma oggi signori e signore davanti a voi, in questa bara di mogano costosissima, c’è il più testa di minchia di tutti… Uno che aveva sognato niente di meno di sconfiggere la mafia applicando la legge”.
Queste le parole che Paolo Borsellino, in un momento di leggerezza, indirizzava al suo amico di sempre: Giovanni Falcone. Parole, che oggi alla luce delle motivazioni, della sentenza Borsellino quater, depositate qualche giorno fa dai Giudici della Corte d’Assise di Caltanissetta assumono un significato particolare. Servitori dello Stato uniti dallo stesso sogno “sconfiggere la mafia applicando la legge” contrapposti a presunti traditori di Stato uniti, invece, dall’unico obiettivo di occultare la verità riguardante la tragica fine di Paolo Borsellino e degli uomini della sua scorta.
Si legge testualmente nelle predette motivazioni: “Soggetti inseriti negli apparati dello Stato indussero Vincenzo Scarantino a rendere false dichiarazioni sulla strage che uccise il procuratore aggiunto Paolo Borsellino e i poliziotti della scorta. È uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”, accusano i giudici della corte d’assise di Caltanissetta. Scrivono ancora i magistrati: “È lecito interrogarsi sulle finalità realmente perseguite dai soggetti, inseriti negli apparati dello Stato, che si resero protagonisti di tale disegno criminoso, con specifico riferimento ad alcuni elementi“.
Gli uomini dello Stato chiamati in causa sono alcuni poliziotti del gruppo Falcone e Borsellino – istituito all’indomani delle stragi – guidati dall’allora capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, i quali avevano il compito di individuare i responsabili degli attentati di Capaci e Via d’Amelio e non invece, come avrebbero fatto, costruire falsi pentiti come Vincenzo Scarantino, piccolo criminale di borgata della Guadagna.
I poliziotti coinvolti quindi avrebbero vestito il pupo Scarantino suggerendogli, anche con l’ausilio di torture, un insieme di circostanze del tutto corrispondenti al vero, al fine di renderlo credibile dinanzi ai magistrati. Si pensi, ad esempio, al furto della 126 rubata mediante la rottura del bloccasterzo, circostanza raccontata solo nel 2008 dal pentito Gaspare Spatuzza. A tal proposito è lecito chiedersi come facevano i poliziotti-pupari a conoscere la peculiare circostanza della 126? “È del tutto logico ritenere — scrivono ora i giudici — che tali circostanze siano state suggerite a Scarantino da altri soggetti, i quali, a loro volta, le avevano apprese da ulteriori fonti rimaste occulte“. Chi ispirò i suggeritori? La corte ricorda che il 13 agosto 1992, il centro Sisde (il servizio segreto civile) di Palermo, comunicò alla sede centrale che “la locale polizia aveva acquisito significativi elementi sull’autobomba“. E ancora la corte sottolinea “l’iniziativa decisamente irrituale” dell’allora procuratore di Caltanissetta Tinebra di chiedere la collaborazione nelle indagini di Bruno Contrada, all’epoca numero tre del Sisde, poi arrestato per mafia dai pm di Palermo nel dicembre del 1992. “Una richiesta di collaborazione decisamente irrituale — ribadisce la sentenza — perché Contrada non rivestiva la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria. Tanta rapidità nel chiedere la collaborazione di Contrada già il giorno immediatamente successivo alla strage — scrivono ancora i giudici — a cui fece seguito la mancata audizione del dottore Borsellino nel periodo dei 57 giorni che gli rimasero da vivere”. E col Sisde collaborava anche il capo della Mobile La Barbera, pure questo ricorda la sentenza. E viene scritto, per la prima volta: c’è un “collegamento tra il depistaggio dell’indagine e l’occultamento dell’agenda rossa di Borsellino“. Perché per i giudici La Barbera è anche “intensamente coinvolto nella sparizione dell’agenda”.
Emerge in maniera lampante, dalle parole dei Giudici, che qualcuno in quel periodo cruento della storia italiana agì non per assicurare giustizia e verità ad un onesto servitore dello Stato, ma per insabbiare le vere motivazioni (probabilmente contenute nell’agenda rossa) che portarono alla morte eclatante dello stesso Dottore Borsellino solo 57 giorni dopo la strage di Capaci.
E allora, in questa storia di tradimenti e di ipocrisia peculiare delle commemorazioni a cui siam costretti ad assistere ogni 23 maggio e 19 luglio, irrompono nel teatrino popolato da pupi e pupari, le parole pronunciate da una delle persone più autenticamente innamorate del Giudice Borsellino: sua figlia Fiammetta, che ha scritto una lettera al Presidente Mattarella chiamando in causa il Consiglio Superiore della Magistratura. In particolare, nella missiva, la figlia del Giudice Borsellino si chiede, da un lato, cosa stia facendo il CSM e, dall’altro, il perché del reiterato silenzio sui magistrati che hanno avallato il falso pentito Scarantino.
Fiammetta Borsellino continua nella sua ricerca della verità ed esige risposte tangibili, non parate in occasione del 19 luglio, per l’anniversario della morte di suo padre e degli uomini della scorta. E sui magistrati che hanno seguito le prime indagini dopo la strage, dice: “Alcuni dei magistrati che hanno sostenuto il falso pentito continuano a ricoprire incarichi importanti. Anna Palma è avvocato generale di Palermo, Carmelo Petralia è procuratore aggiunto a Catania. Nei miei incontri con gli studenti faccio sempre la lista delle domande che vorrei rivolgere a quei magistrati”. Domande come quella che rivolgerebbe a Ilda Boccassini, anche lei a Caltanissetta in quel periodo, che era fra i pm che non credeva a Scarantino, alla quale vorrebbe chiedere perché autorizzò dieci colloqui investigativi dell’allora capo della Mobile Arnaldo La Barbera proprio con Scarantino, nonostante avesse già iniziato a collaborare con la giustizia. Al magistrato Giuseppe Ayala, che nel 1992 era parlamentare, invece Fiammetta Borsellino chiederebbe perché ha fornito sette versioni diverse circa i momenti successivi alla strage, in cui si trovò fra i primi in via D’Amelio a tenere in mano la borsa di suo padre. Agenda rossa che poi sparì nel nulla. Otterrà risposte o ancora silenzio assordante?
… e tutto ciò, porta giustizia a tutti coloro che vengono e sono stati additati come “complottisti”.
I servizi segreti andrebbero aboliti, dovremmo metterci magliette rosse per dimostrarlo. Quale segreto servirebbe se siamo seri? Addirittura istituzionalizzare un Servizio poi! Ma dai!
E concludo citando una canzone (rap) non amuffita dagli scaffali degli anni ’60, ma fresca di questo secolo (e finalmente!):
“Essi ridono quando decidono su vita o morte
Essi dirigono la rotta della nostra sorte
Dove si gioca una partita dove lo scettro s’annida
Il controllo del pianeta è la tua aspirazione numero uno
Proprietaria di polizie di centrali e raffinerie
Dello spaccio d’eroina nelle vie e dell’AIDS
Della CIA e delle SS
Potere e droga armi e denaro
E per dove serva scoppia una guerra ma dove siamo?
Questo è il mondo dove sono nato io non me lo son cercato
Ma è accuscì che l’hanno lasciato
In mano a menti d’aguzzini…
… omissis…
sotto l’occhio ipnotizzato della gente in prima serata da certe frequenze,
video in casa, la mente è invasa non è un caso… lobotomia generalizzata,
come una frezza, lascia che questa brezza non accarezza chi ci condanna e teme per la sicurezza, speciale, la legge è uguale per tutti i sottomessi dai criminali veri…
… omissis…
perchè è così, povertà e ignoranza, in condizioni di ignoranza
il grasso cola e il male avanza”
(da “Essi ridono”, LouX e Cuba Cabbal, 2001)
Sulla mafia abbiamo avuto spesso un pezzo dello Stato colluso e anche quando non lo era è stato comunque “omertoso”. C’è chi esce dal carcere, nonostante una condanna per via definitiva per associazione mafiosa, mentre la verità rimane ancora imprigionata.
In Italia purtroppo e spesso l’unica ad essere condannata all’ergastolo è proprio la verità.