
Un omaggio ad Aldo Palazzeschi, l’artista che nacque nessuno e morì qualcuno.
L’orto di via Gucciardini aveva smesso di rifiorire, la flora forniva solo i rimasugli di un raccolto andato male. D’altronde, era il 2 febbraio, che facesse freddo c’era da aspettarselo. Il clima, a Firenze, toccava di rado picchi estremi, ma, nel 1885, la mitezza della temperatura dovette far fronte ad un inverno rigido e burrascoso. Alberto Giurlani e Amalia Martinelli avevano previsto tutto. Ricavando un piccolo angolo dall’atrio principale, avevano sistemato una piccola stanzetta, un fasciatoio dove poter far nascere il loro piccolo.
Aldo Pietro Vincenzo Giurlani venne al mondo così, con tre nomi, quasi a certificare il sangue blu di una nobiltà visibilmente in discesa. Le difficoltà della famiglia nel tirare avanti, spinsero papà Alberto ad indebitarsi per garantire cibo e riscaldamento ai propri cari. Suo figlio Aldo non avrebbe fatto quella fine, non lo avrebbe permesso, assolutamente, sarebbe andato a scuola e avrebbe vissuto una vita migliore. Il ragioniere. Ecco, il lavoro che gli avrebbe consentito di raggiungere una posizione sociale così elevata da cancellare gli anni di un’infanzia trafitta da stenti e sacrifici. E ad Aldo, effettivamente, la volontà non mancava, la pagella, brulicante di ottimi voti, lasciava intravedere un particolare trasporto per le materie creative e umanistiche. Finite le superiori, però, Aldo non voleva proprio saperne di mettersi dietro una scrivania, avrebbe barattato volentieri quel titolo di studio con un corso di scrittura artistica, o qualcosa del genere. Decise, quindi, di iscriversi alla scuola di recitazione “Tommaso Salvini”. Era il 1902 e fare gli attori, in quel preciso momento storico, era davvero un lusso che pochi potevano concedersi.
“Un Giurlani a teatro mai! Dovrai passare sul mio cadavere, non ti è permesso recitare!” La minatoria invettiva di papà Alberto non dissuase Aldo, il permesso se lo prese da sè, non gli importavano le dicerie popolari ma, debitore nei confronti dei suoi genitori, si preoccupò di conservare la buona reputazione di famiglia, adottando, come pseudonimo, il cognome della nonna materna.
Da quel giorno, la vita di Aldo Pietro Vincenzo Giurlani, noto come Aldo Palazzeschi, fu migliore di quanto papà Alberto avesse osato immaginare.
Regista, poeta e scrittore, Palazzeschi si è imposto come fondatore delle avanguardie storico-letterarie. L’amicizia con Filippo Tommaso Marinetti prima, e Gabriellino D’Annunzio (figlio di cotanto padre) poi, indusse Palazzeschi ad abbracciare una poetica teatralità madida di futurismo e crepuscolarismo.
Elementi, questi ultimi, riscontrabili soprattutto in una delle sue opere più importanti “Sorelle Materassi”. Pubblicato nel 1934, da Vallecchi, il romanzo descrive la vita di Teresa, Carolina e Giselda, tre anziane sorelle che si abbandonano, con quieta rassegnazione, alla vecchiaia, fino a quando fa capolino, nel lento incedere del tempo, il loro amatissimo nipote Remo. Di bell’aspetto e grondante vitalità, Remo diventa presto oggetto delle attenzioni delle tre sorelle. L’incestuosa morbosità del rapporto autorizza Remo a prosciugare le zie di tutti i loro risparmi e a godersi, quindi, un’esistenza dissennata e priva di freni inibitori.
La metafora del nucleo famigliare in cui agisce Remo indica il crepuscolo emozionale di una malinconica situazione di spegnimento. A predominare sono i toni tenui e soffusi del nichilismo, tratti stilistici tipici del Pascoli, ma anche di poeti decadenti fiamminghi e francesi, quali Maurice Maeterlinck e Jules Laforgue. Lo spirito di rivolta che muove Remo è lo stesso dei futuristi, la cui impronta è tangibile nell’eccessivo individualismo della figura dello scrittore, finalmente protagonista della storia e pragmatico fautore delle forze dell’avvenire. In Palazzeschi, ottimismo e pessimismo si fondono in un mistico minestrone di speranza e sagacia, semi da piantare e raccogliere, magari in un’altra stagione, probabilmente durante l’estate dell’anima, ma sempre dall’orto in via Gucciardini.