Quando
si conosce la verità
e per paura
non si dice;
quando
per quieto vivere
alla verità
non si dà voce;
il silenzio
non è pace:
è omertà
che si autocompiace.
Salvatore R. Mancuso,
29/06/2016.
Non si vede, come un virus; non si sente, come il silenzio di cui è fatta; non è tangibile, come i sentimenti, buoni o cattivi. Eppure le viscere ne percepiscono la tossicità come se si trattasse del peggiore dei cibi avariati.
Può insinuarsi nei nostri ragionamenti e farci dubitare della loro validità; avvolgere in una coltre di nebbia la nostra visione dei fatti e persuaderci di essere miopi.
Se, invece, si riesce a vedere attraverso la sua nebbia, si sperimenta una dolorosa, lancinante impotenza.
È come se ci ritrovassimo affetti da una parestesia facciale che impedisce al fiato di diventare voce.
L’omertà non opera solo negli ambienti mafiosi propriamente detti; non intralcia solo la giustizia, lo abbiamo scoperto in quest’ultimo anno: sa far vedere ‘sorci verdi’ anche alla scienza:
Il Messaggero, 28/02/2021
Marco Rusconi, presidente ANP Lazio: “Secondo gli ultimi report, almeno un positivo su cinque sfugge al controllo. […] Necessario che i genitori aiutino le scuole nel tracciamento dei contagi, no a casi ‘sommersi’”. La questione è molto delicata non c’è nessun obbligo di legge sull’informazione, questo lo dobbiamo chiarire, ma di responsabilità.”
Repubblica, 14/01/2021
Marco Delledonne, Direttore del dipartimento di Sanità pubblica dell’Ausl di Piacenza: “C’è omertà, non è solo reticenza. […] Stiamo facendo fatica a farci raccontare dai positivi con chi hanno trascorso il tempo. Tendono a coprirsi gli uni con gli altri quasi come se si fossero messi d’accordo. Siamo riusciti a capire che queste persone hanno partecipato ad una festa privata a Capodanno e a due feste di compleanno.
Il problema è che se non ci segnalano i loro contatti, potenzialmente, potrebbe esserci ancora qualche positivo che va bellamente in giro a contagiare altre persone”.
Il Piacenza, 12/01/2021
Luca Baldino, Direttore generale Ausl Piacenza: «Nessuna omertà, quando risultate positivi segnalateci i contatti stretti. Non si tratta di fare la “spia”, ma che l’amico non contagi il nonno».
Un preside e due medici che lanciano un appello per ritrovare persone ‘scomparse’; che si vedono costretti a spiegare a persone adulte, non infanti, la differenza tra fare la spia e contribuire a salvare, chissà, una o più vite.
Perché è così difficile dismettere il modus vivendi omertoso, anche se la posta in gioco è la mia, la tua. La NOSTRA salute, ci chiediamo. Una risposta può essere: perché ciò comporta l’assunzione di responsabilità in un’ottica di solidarietà estesa che afferri l’importanza del bene comune. Significa maturare un atteggiamento prosociale.
Prosociale è quel genere di comportamento “diretto ad aiutare o beneficiare un’altra persona o un gruppo di persone, senza aspettarsi ricompense esterne” (Mussen & Eisenberg, 1985).
Anche il significato di omertà, beninteso, rimanda al concetto di solidarietà, infatti, la sua definizione nel dizionario Treccani recita: “Solidarietà diretta a celare l’identità dell’autore di un reato. Quella solidarietà che […] consiste nell’astenersi volutamente da accuse, denunce, testimonianze, o anche da qualsiasi giudizio nei confronti di una determinata persona o situazione”.
Peccato che la SOLIDARIETÀ di tipo prosociale vada a beneficio del prossimo, quella del silenzio no. Dovremmo tutti aver ben chiara questa linea di demarcazione.
Invece, purtroppo, ci adeguiamo consapevolmente (anche se, interiormente, lacerati) ad una condotta pseudo-mafiosa, temendo chissà quali ritorsioni, nemmeno fossimo stati testimoni di un omicidio: “Non so, non ho visto, se c’ero dormivo” riecheggia nell’aria.
Fortunatamente, anche per i dormienti, c’è sempre qualcuno che lotta e che sta sveglio.
Borore, Torpè, Siniscola,
08/03/2021
Daniela, Giovanna, Lourdes.
Decisamente un bel pezzo prosociale! Grazie.