«Trasformare i sudditi in cittadini è un miracolo che solo la scuola può compiere»
(Piero Calamandrei)
Nella mia scuola, tre giorni fa, abbiamo piantato un olivo. L’olivo di Gino. La mia scuola è intitolata a Gino Strada ed io ne sono troppo orgoglioso.
Giovedì scorso era con noi Simonetta Gola, la moglie di Gino, curatrice del libro Una persona alla volta (Feltrinelli 2022), il libro postumo in cui Gino racconta e si racconta. Un libro da leggere. E che sostiene le campagne di EMERGENCY.
Il giorno dopo questo evento che mi si è scolpito dentro, ho pubblicato una Lettera aperta. Dunque, è legittimo tu mi chieda perché te ne scriva ancora.
Bene, scrivo perché ultimamente, ma non solo ultimamente, si è fatto un gran cicaleccio sul fare o non fare “politica a scuola”. E, ogni volta che, ciclicamente, questo dibattito emerge, io mi sento rivoltare.
E penso: ma è del mestiere questo?
Perché dire a un docente di “non fare politica” è come dire alla Costituzione di essere neutra e neutrale: e invece non lo è!
La nostra Costituzione è assolutamente di parte, è profetica – leggere sempre le parole di Calamandrei per favore! – è una rivolta contro lo stato attuale ed è un’attesa e un impegno per il futuro.
In una parola, è politica, la nostra Costituzione.
E, per cortesia, non mi chiedete di stare a precisare che lo è con la P maiuscola in contrapposizione a quella con la minuscola. Sciocchezze, giustificazioni pretestuose, alibi per il disimpegno.
La politica è vita della città. Punto.
È passione per il bene: dell’altro come del mio. Perché solo così è bene comune.
È sete di giustizia. È non rassegnarsi alla disperazione. È non essere indifferenti. È alzare la voce per chi non ha voce. È avere cura. È avere cuore.
È non tollerare i sacchi bianchi su una spiaggia.
È stare da una parte senza essere di parte.
È non abusare vigliaccamente di una posizione di potere, nel vano tentativo di intimidire chi è sottoposto.
È sapere cosa si dice a chi lo si dice e perché lo si dice. Sapere anche come si dice.
È fare la scelta giusta.
Dalla parte di chi non ha scelta.
È essere prima di fare, ma senza rinunciare al fare. Solo, dandogli radici.
Come per l’olivo di Gino.
Come Gino.
E non solo come lui, per fortuna.
Elie Wiesel: « Ai più bassi livelli della politica e al più alto livello della spiritualità il silenzio non aiuta mai la vittima, il silenzio aiuta sempre l’aggressore».
Don Tonino Bello: «Non possiamo limitarci a sperare, dobbiamo organizzare la speranza».
Gino Strada: «I diritti degli uomini devono essere di tutti sennò chiamateli privilegi».
Queste parole, un grande insegnamento di vita…
Grazie, Monica
Non fare politica significa non prendere una posizione nelle questioni che dobbiamo affrontare quotidianamente,significa non sentirsi cittadini attivi, significa essere indifferenti e il pericolo dell’indifferenza lo spiega bene Gramsci in questo suo scritto:
Antonio Gramsci – Indifferenti
“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.
11 febbraio 1917
Parole sempre attuali. Grazie, Angela. Qualche settimana fa ho pubblicato: “Amo gli incazzati”. Il riferimento al Classico da te citato mi appare evidente..
Il silenzio non aiuta mai la vittima, aiuta l’aggressore è fin troppo vero… Anzi, è tanto vero, che quando alzi la voce in favore delle vittime, la politica con la p minuscola ti definisce AGGRESSORE per metterti a tacere….
Un commento illuminante: grazie, Vito!