«Se ti sedessi su una nuvola non vedresti la linea di confine tra una nazione e l’altra, né la linea di divisione tra una fattoria e l’altra. Peccato che tu non possa sedere su una nuvola»
(Khalil Gibran)

Bisogna vivere in pianura, tra casolari e piccoli centri urbani, per capire il vero significato della parola “campanilismo”. E l’importanza di un campanile.

Caro lettore, adorata lettrice,

finché si vive sul mare, ancor più in collina, l’orizzonte ha una portata completamente diversa. I centri costieri sono abituati ad una linea blu sconfinata: non possono illudersi di essere il centro del mondo. Dal mare sono sempre arrivate le novità: belle e brutte. Nella mia Puglia, dal mare sono arrivati i Greci e gli Arabi, dal mare transitava la via della seta, dal mare sono arrivate vita e morte, una cultura della promiscuità. Della diversità che è fonte di reciproco arricchimento.

D’altro canto, se si vive in collina, è sufficiente svoltare lungo un tornante per vedere apparire o scomparire la veduta del proprio paesino. Ad ogni valle, una vista nuova. Ad ogni vetta, un panorama smisurato. Nemmeno in collina il proprio campanile può essere assunto a centro del mondo. E per quanto possa essere alto, sarà sempre piccolo a confronto delle vette che lo circondano. La collina è il luogo del sacrificio e del nascondimento. Dell’umiltà.

Ma quando si è in una pianura ricca, ubertosa e che si estende a perdita d’occhio, quando piccole stradine di campagna si assomigliano tutte e si confondono, quando rischi di perderti tra campi coltivati che ti sembrano tutti uguali, in perfetto ordine, con rigida simmetria, allora poter levare lo sguardo e vedere da lontano, anche a distanza di chilometri, il “tuo” campanile, può farti venire la tentazione della superbia: quasi che il tuo orizzonte non possa conoscere confini, quasi che tutto ti appartenga. Chissà che non sia per questa ragione se il legittimo affetto per il proprio campanile si sia poi evoluto, e degenerato, in bieco campanilismo.

Non che questo non possa albergare, e di fatto non alberghi, anche in altre regioni: basterebbe leggere Dante per togliersi ogni dubbio a tal proposito. Ed anche al Sud, da un centro urbano all’altro, magari vicinissimo, cambia tutto: dialetto, usanze, appellativi (e quelli per il rivale/vicino sono sempre i più coloriti).

E tuttavia qui, nella terra che ora mi ospita, nella splendida provincia patavina, mi sembra di aver capito per la prima volta, e fino in fondo, il valore di un campanile. Che è quello di orientare, non di dividere. Di essere un faro nella nebbia, non un arrogante spillo appuntato in cielo.

Ecco. Dal mio al tuo campanile. Vale a dire: la strada che porta da casa mia a casa tua. E viceversa. Ma senza mura, divisioni o barriere di sorta. In pianura, non c’è da ascendere né valicare. In pianura, nessun luogo è lontano. In pianura, basta avere un punto fisso sull’orizzonte, per ritrovare la strada di casa o per percorrere quella che porterà a nuovi incontri.

No. I campanili non sono nati per dividere. Sono dei ponti. Sono nati per instradare e consolidare relazioni. Per ritrovarsi, al suono delle campane, a gustare un caffè con gli amici.

Credo toccherebbe ricordarsene ogni tanto…

Magari, con le parole di Frida Kahlo: «È lecito inventare verbi nuovi? Voglio regalartene uno: io ti cielo, così che le mie ali possano distendersi smisuratamente, per amarti senza confini».

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FontePhotocredits: Paolo Farina
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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...