Natale, festa della gratitudine

«L’ingratitudine è sempre una forma di debolezza. Non ho mai visto che uomini eccellenti fossero ingrati»

(Goethe)

«È Natale e a Natale si può fare di più!»: caro lettore, adorata lettrice, quante volte lo abbiamo ascoltato e magari, a denti stretti, persino canticchiato?

Ora, non voglio essere dissacrante, Dio me ne scampi, ma avverti anche tu un certo senso, se non di nausea, almeno di disagio?

Luci, canzoni, colori, parole buone, poesie e alberi di Natale, i doni, il presepe: soprattutto i doni! E poi?

E poi il mondo va come sappiamo. Tu ed io andiamo avanti come sappiamo. E andiamo avanti come se non fosse mai Natale.

Eppure Natale dovrebbe insegnarci che ogni giorno si nasce: ogni giorno è l’occasione per essere felici. Solo che non c’è nulla che renda felici come rendere felice chi incontriamo. E non c’è niente che renda felici come essere grati.

Ecco, la gratitudine: è questa la parola su cui vorrei soffermarmi per il nostro caffè natalizio.

Se è vero, come è vero, che è Natale fuori solo se è Natale dentro, mi piacerebbe che tu ed io celebrassimo questo Natale come la festa della gratitudine: per il miracolo della vita, per questo mondo, per le piante e gli animali, per gli esseri umani.

Sì, lo so. La vita a volte ci schiaffeggia, in altre ci delude. Il mondo lo stiamo riducendo sempre peggio. La flora e la fauna le stiamo estinguendo. Quanto agli uomini: non credo si possano incontrare essere più angelici, ma anche così demoniaci.

Luci ed ombre. Come sempre. Con le ombre che, a volte, anche troppo spesso, sembrano prevalere.

Di cosa, dunque, dovremmo essere grati?

Ad esempio, degli occhi che abbiamo incrociato, delle mani che abbiamo stretto, dei sorrisi che abbiamo accolto. E anche di quanto abbiamo restituito.

Perché non c’è dono che non sia ridonato. Nulla tu ed io possiamo dare che non ci sia stato offerto. E solo uno stupido può davvero credere di poter bastare a se stesso e di non dovere dire grazie a nessuno. Uno stupido oppure, come suggerisce Goethe, un debole.

E sì. Perché ci vuole forza per ammettere le proprie debolezze, coraggio per chiedere aiuto, intelligenza per sapere di non sapere. Chi dice grazie, è forte perché non si è chiuso, non si è isolato, ha lanciato il suo SOS e si è lasciato salvare.

Natale, per i credenti, è la festa del Salvatore che si incarna. Il mio augurio è che anche tu ed io accettiamo, ogni giorno, di farci carne, di farci storia, di farlo insieme, non da soli: e di celebrare ogni giorno con estrema, profonda, sincera gratitudine. La gratitudine dei salvati.

Che sia sereno il tuo giorno: specie quello prima e quello dopo Natale.

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Piccolo post scriptum

 

Il 16 dicembre dello scorso anno nasceva “Un caffè col direttore”; poco più di un anno, 54 caffè: ecco un’altra carezza per cui dovrei dirti, e ti dico, grazie!

 

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FontePhotocredits: designed by Eich
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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...