38 anni di carcere e 138 frustate per Nasrin Sotoudeh
Le parole plasmano il mondo. Chiunque dica il contrario non è obbiettivo.
Ci sono parole che se ripetute abbastanza sono capaci di etichettare e poi discriminare.
Fino a qualche tempo fa sentivamo parla di immigrati come una malattia da curare a tutti i costi.
“Gli italiani prima di tutto” ricorda qualcosa?
Le parole ripetute plasmano il mondo.
Fino al punto in cui senti di navi lasciate in mare aperto senza poter attraccare e rimani indifferente, o di naufragi a cui non batti ciglio. Quando inizi a usare la parola “buonista” che hai sentito in televisione per chiudere un dialogo morale con un commensale.
Le parole fanno la realtà. E la fanno nel momento in cui una donna in fila all’aeroporto viene fermata perché è nella fila sbagliata. Quella è per gli europei. Lei è nera DEVE essere extracomunitaria.
Le parole sono come sassi lanciati in un fiume. Dopo un primo scompiglio cadono sul fondo e si depositano.
E se sono abbastanza possono formare una diga.
Adesso pensiamo alla nuova battaglia della Lega.
Donna-madre. Un binomio che sembra così dolce e naturale. Cosa c’è di sbagliato nel volere una famiglia tradizionale? Cosa c’è di sbagliato nel voler abolire l’aborto? Nel chiedere alla donna di ricoprire un ruolo che generazioni prima di lei hanno ricoperto?
Perché le femministe fanno una tragedia quando la Lega dice che la realizzazione della donna è nella famiglia?
Il discorso può sembrare così lineare e limpido, ma in realtà nasconde molte zone buie.
Ciò che si tenta di fare adesso è affibbiare nuovamente un’etichetta.
L’errore che si fa è dimenticare che dietro l’etichetta di madre, moglie, figlia, sorella si cela un essere umano con esigenze proprie, reali e vere quanto possono essere quelle dell’uomo.
Con tutte queste etichette si scorda che apparteniamo tutti ad uno stesso genere: quello umano.
Siamo arrivati ad un punto in cui quando si ascolta qualcuno che parla a favore delle donne, peggio se è una donna, si alzano gli occhi al cielo o si teme l’ennesima menata ideologica.
“Femminista”: l’evergreen usato per non ascoltare un discorso sui diritti delle donne.
Ecco. Se questo accade, vuol dire che le parole ripetute si sono già accumulate abbastanza sul fondo delle nostre coscienze.
Non bisogna dimenticare il passato.
Il delitto d’onore, lo ius corrigendi, il considerare lo stupro un’offesa alla morale comune più che alla persona, la fantastica usanza di chiudere le donne a chiave in casa quando erano sole per “tutelarne la virtù” e quindi l’onore della famiglia stessa.
Vi prego di non scordare gli anni in cui le donne venivano rinchiuse nei manicomi perché troppo vivaci o anticonformiste o solo perché scomode.
Gli anni in cui alle donne non era riconosciuto nemmeno il diritto del piacere sessuale.
Gli anni in cui si parlava di isterismo.
Troviamo che la nostra società si sia evoluta, ma i passi indietro sono molto più facili da fare di quanto crediamo.
Basta dimenticare e un passo del gambero alla volta sentiamo ancora dire “Sì. È stata stuprata, ma come era vestita?” oppure “Chissà cosa avrà fatto per farsi cospargere di benzina e dare fuoco”.
Le parole. Dannazione.
Pronunciate senza pensarci da alcuni, ma che vanno a rafforzare un’idea contorta e sbagliata.
Viviamo in un mondo in cui ci sono donne che ancora subiscono. Violenze, mutilazioni, segregazione.
Pensiamo all’Iran dove ci sono donne che hanno manifestato contro l’obbligo dell’uso del velo.
Pensiamo a quell’attivista, Nasrin Sotoudeh, vincitrice del premio Sakharov, donna e avvocato, da anni in prima fila per difendere i diritti civili e delle donne: condannata a trentotto anni di carcere e 148 frustate perché accusata di propaganda contro lo Stato e di essere apparsa in pubblico senza velo.
Solo per aver difeso il diritto di manifestare o aver lottato non tanto per la parità, ma almeno per ridurre le differenze.
Le parole. Sono importanti.
Se ripetute plasmano il mondo.
Ricordare senza chiudere gli occhi su quello che accade intorno a noi è l’unico modo per non degenerare.
Per usare le parole solo per costruire ponti e non barriere.