“Condividere valori, pensarsi in un futuro comune, essere rispettosi gli uni degli altri, rifiutare l’astio e l’insulto”
«Sentirsi “comunità” significa condividere valori, prospettive, diritti e doveri. Significa “pensarsi” dentro un futuro comune, da costruire insieme. Significa responsabilità (…). Vuol dire anche essere rispettosi gli uni degli altri. Vuol dire essere consapevoli degli elementi che ci uniscono e (…) rifiutare l’astio, l’insulto, l’intolleranza, che creano ostilità e timore. So bene che alcuni diranno: questa è retorica dei buoni sentimenti».
Caro lettore, queste parole ti sono già note, le ha pronunciate il Capo dello Stato per il discorso di fine anno. Tuttavia, credo che esse meritino di essere gustate una alla volta, a piccole dosi, così come si fa con piatti prelibati: per questo te le ripropongo.
C’è chi ha visto nel discorso del Presidente Mattarella un taglio marcatamente politico, e per questo l’ha criticato, e c’è chi vi ha letto una severa critica delle scelte di governo, e per questo lo ha elogiato. Dal mio umile punto di vista, quel che mi preme, mentre sorseggiamo insieme il nostro caffè, è rivolgerti un invito a soffermarti sull’essenziale.
Condividere valori, pensarsi in un futuro comune, essere rispettosi gli uni degli altri, rifiutare l’astio e l’insulto: ricordassimo solo questo del discorso di fine anno, sarebbe già un patrimonio enorme. E sarebbe un patrimonio condiviso.
Perché si può – anzi: si deve, visto che è questo il sale della democrazia – parteggiare per uno schieramento piuttosto che per un altro, ma non si dovrebbe mai dimenticare che ci sono valori che ci accomunano, che il futuro o lo costruiamo insieme o non ci sarà proprio, che confrontarsi non significa mancarsi di rispetto, che “chi non è contro di noi è con noi” nel Vangelo significa una cosa ben diversa dalla sistematica demonizzazione e irrisione dell’avversario.
Mattarella lo ha detto a chiare lettere: «alcuni diranno che questa è retorica dei buoni sentimenti».
Ma ci pensi? Il 2018, tra le altre cose, passerà alla storia per aver coniato un nuovo insulto: “buonista”. Ma ci pensi? Socrate sarebbe stato buonista (Nietzsche ce l’aveva con lui per questo), Gesù di Nazareth era notoriamente un buonista, così come Francesco d’Assisi, Gandhi, Martin Luther King, Madre Teresa di Calcutta, Capitini e tutti i santi e idealisti in compagnia.
Ora, non è una novità che i buoni siano derisi. La novità è che siano accusati di essere buoni. Per condannare Socrate si sono inventati l’accusa di corruzione, per Gesù Cristo quella di essersi fatto re, per condannare chi crede nei diritti dell’uomo, basta dirgli “buonista”. Vero è che uno slogan vince sempre contro chi vorrebbe spiegare un’idea, ma non può essere questa la via per “sentirsi comunità”. Ci pensi?
Peraltro, per arrivare ad essere una “comunità di vita”, il Presidente Mattarella ha voluto anche indicare una via alternativa, quella di Felicizia. L’idea, in verità, non è sua, gli è stata suggerita da bambini. Come sempre, i bambini arrivano prima, quando si tratta di cogliere l’essenziale.
Te le affido, le parole del Presidente, alias dei bambini, ti invito a rimuginarle mentre degusti il tuo caffè: «Qualche settimana fa a Torino alcuni bambini mi hanno consegnato la cittadinanza onoraria di un luogo immaginario, da loro definito Felicizia, per indicare l’amicizia come strada per la felicità. Un sogno, forse una favola. Ma dobbiamo guardarci dal confinare i sogni e le speranze alla sola stagione dell’infanzia. Come se questi valori non fossero importanti nel mondo degli adulti».
Come dire: se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno di Felicizia…