
In piena emergenza Covid, la politica trova il tempo per combattere le discriminazioni sessuali
Nei giorni scorsi la Camera dei deputati ha affrontato la discussione e la conseguente approvazione del disegno di legge contro le discriminazioni e le violenze a causa dell’orientamento sessuale, di genere, di identità e di abilismo (riguardante la discriminazione nei confronti delle persone con disabilità). Si tratta del cosiddetto ddl Zan, dal nome del deputato del Partito Democratico Alessandro Zan, frutto della sintesi di cinque proposte di legge: Boldrini, Zan, Scalfarotto, Perantoni, Bortolozzi.
Attualmente il codice penale italiano già punisce i reati e i discorsi di odio contro la nazionalità, l’etnia, la religione o la persona (legge Mancino). Con il ddl Zanpotranno essere puniti allo stesso modo anche i reati di discriminazione fondati sull’orientamento sessuale e l’identità di genere.
Ampliando lo sguardo sulla materia, emerge l’evoluzione della cultura riguardante la problematica dei generi nella società odierna: la condizione omosessuale sta passando da una condizione che esige rispetto a un diritto da esigere. Attenzione però alle derive totalitarie! Il totalitarismo non è meno mortale di una pandemia ed è altrettanto difficile da diagnosticare nella sua fase iniziale.
Purtroppo, il testo predisposto dal relatore Zan ha intrapreso la strada dell’inasprimento delle norme penali e questo, a detta di esperti non politicamente o ideologicamente schierati, suscita problemi complessi sul piano giuridico. L’intendimento poi di combattere i pregiudizi che penalizzano persone omosessuali e transessuali, sottoposte a ingiuste discriminazioni, sembra, come si temeva, che abbia ceduto il passo in corso d’opera, ad altro: non vorrei che, dietro una protezione penale “privilegiata”, emergesse l’ideologia delgendero della “fluidità del genere” auto-attribuito. Qui occorre ribadire con forza il principio: educare sì, inculcare mai… E poi chi vigilerà sui rischi della norma dopo l’approvazione per evitare la dittatura del pensiero unico?
Uno dei punti critici del ddl Zanè la definizione dei termini (omofobia, transfobia ed altri…) troppo vaghi utilizzati nel testo; questo può innescare confusioni e ambiguità. Infatti non risulta che esista una paura dell’omosessualità o della transessualità. Ma se si vuole introdurre nel codice penale un reato specifico, affinché ci si possa astenere dal commettere certe azioni, bisogna darne una definizione precisa. Il difetto è la vaghezza della definizione che rende vago il reato. Da questo deriva l’incertezza nell’applicazione della legge: se un comportamento non è definito, non lo si può considerare con certezza ‘reato’. Di conseguenza il tutto viene demandato all’eccessiva discrezionalità del giudice, considerata l’obbligatorietà dell’azione penale nel nostro ordinamento. Si finisce così per assegnare all’arbitrio del giudice un potere coercitivo illimitato, che comprende anche il ricorso a mezzi invasivi come le intercettazioni o le misure cautelari.
La legge istituisce inoltre una giornata nazionale (17 maggio) contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, con la relativa organizzazione di “cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile” da parte delle amministrazioni pubbliche, coinvolgendo anche le scuole. Ora, il nodo centrale di tutta la questione è l’identità sessuale: la contrapposizione fra come si nasce e cosa si vuole essere. La scuola andrebbe preservata da contaminazioni ideologiche, in ragione del suo ruolo di agenzia educativa per la formazione integrale dei giovani. La scuola paritaria che non vuole celebrare la Giornata anti-omofobia può farlo o è destinata a pagare la sua intangibile libertà? I genitori o gli insegnanti che non condividono questa ideologia incorrono in un reato?
Il lungo iter di valutazione del testo si è concluso con l’introduzione della “clausola salva idee” e spiegata da Zan come un richiamo alla Costituzione. Questa clausola nasconde però nella sua formulazione linguistica molte insidie: stabilisce infatti che “sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. Poco chiaro il suo senso e il suo significato: come si può esercitare un dissenso? Chi ritiene che la famiglia esiga, per essere tale, un papà e una mamma e non la duplicazione della stessa figura, incorre in un reato di atti discriminatori o di opinione?… Come sempre sarà la giurisprudenza a chiarirlo. Sappiamo bene come il linguaggio delle leggi sia oscuro e incomprensibile. Se scriviamo le leggi in una lingua ambigua, anche la nostra cultura sarà deviata. E di cultura parliamo quando si affrontano temi che riguardano i diritti umani e i valori di parità, uguaglianza e di libertà. Qui ci troviamo al crocevia della democrazia e dei valori che la fondano: la libertà d’espressione e la tutela delle minoranze.
Prima di intraprendere percorsi “talebani”, armati di codice penale, credo che si debba innanzitutto promuovere l’impegno educativo nella direzione di una seria prevenzione, che contribuisca a scongiurare e contrastare ogni offesa alla persona. Su questo non servono polemiche o scomuniche reciproche, ma disponibilità a un confronto autentico e intellettualmente onesto. Qualità queste non sempre riscontrabili in chi vota dietro “ordini di scuderia”, o per raccattare voti tra Lgbt o altri gruppi.
Se nell’aula di Montecitorio il ddl Zan, con i numeri che ha la maggioranza, l’esito del voto è stato scontato, la partita vera si giocherà al Senato, dove la coperta è molto corta. Si ricorda in proposito quanto accadde nel 2013, quando l’allora “ddl Scalfarotto” contro l’omofobia (confluito nell’attuale ddl Zan) fu prima approvato alla Camera, per poi arenarsi al Senato.
Faccio mie le conclusioni dell’articolo e mi pregio metterle in evidenza:
“Prima di intraprendere percorsi “talebani”, armati di codice penale, credo che si debba innanzitutto promuovere l’impegno educativo nella direzione di una seria prevenzione, che contribuisca a scongiurare e contrastare ogni offesa alla persona.”
Un caro saluto all’articolista, che leggo sempre con grande attenzione.