Solo un discepolo messo a nudo può farsi testimone

“Cuore di misero” non è la vera etimologia di “misericordia”. Essa deriva piuttosto da “misereo” (“ho pietà”) e “cordis” (del cuore). Dunque: ho pietà del cuore, provo compassione per l’altrui miseria. Nondimeno, “cuore di misero” apre a suggestioni su cui è bello trascorrere. Quasi a dire: ha cuore di misero chi prova pietà per il misero.

E chi, nella Bibbia, è il misericorde per antonomasia? Qui la risposta è facile: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà, che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato» (Es 34,6-7); o ancora: «Ma tu, Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà» (Salmo 86,15); infine: «Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore.  Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature» (Salmo 145,8-9).

“Cuore di misero”, però, non è una categoria che possa essere applicata solo a Dio. Misericordioso, perché misero, è chiamato ad essere ogni discepolo di Cristo: se come lui accetta di spogliarsi di ogni umana baldanza. Cristo, infatti, si è spogliato della sua divinità, facendosi servo fino alla morte e alla morte in croce. Per imitarlo, al cristiano basterebbe riconoscere di essere solo un uomo, di non essere il salvatore del mondo, di non poter, in realtà, salvare neppure se stesso. Riconoscere di essere un uomo nudo: senza vesti, senza forma. E tanto basta per la risurrezione.

Ci sono quattro termini, nel vangelo di Marco, che è per eccellenza il vangelo della sequela, il vangelo del discepolo, a legittimare una simile lettura.

Nel Getsemani:

«Lo seguiva un giovane (νεανίσκος / neaniskos) avvolto (περιβεβλημένος / peribeblemenos) in un lenzuolo (σινδόνα / sindona) sulla nuda pelle, e lo afferrarono. Ma egli, lasciato il lenzuolo (σινδόνα / sindona), fuggì (ἔφυγεν / efugen) nudo» (Mc 14,51).

Sul Golgota:

«Allora, comprato un lenzuolo [σινδόνα / sindona], [Giuseppe d’Arimatea] lo depose [dalla croce], lo involse nel lenzuolo [σινδόνi / sindoni] e lo mise in un sepolcro che era scavato nella roccia» (Mc 15,46).

All’alba della risurrezione:

«Entrate nel sepolcro, videro un giovane [νεανίσκον / neaniskon], seduto sulla destra, avvolto [περιβεβλημένον / peribeblemenon] d’una veste bianca/luminosa, ed ebbero paura. […] Esse uscirono e fuggirono [ἔφυγον / efugon] dal sepolcro, perché avevano tremore e stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite» (Mc. 16,5.8).

Una singolarità: tutti i termini sopra evidenziati col carattere grassetto sono usati da Marco solo in questi passi e mai più, e solo per legare la condizione del discepolo a quello del corpo esamine del Cristo deposto.

Come a suggerire: chi segue Gesù è un giovinetto, non un “uomo fatto”, è avvolto di un lenzuolo, lo stesso in cui sarà deposto il Cristo, lo stesso lenzuolo indossato dal medesimo giovinetto per dare l’annuncio del Risorto: un mistero così grande che la prima reazione di ogni discepolo, del giovinetto come delle donne, è fuggire via.

Davvero viene da pensare: la misericordia di Dio è tale che solo un discepolo in “nuda veritas”, spogliato di ogni apparenza, vestito unicamente della sua fragilità, può essere degno annunciatore della lieta novella. E la novella è questa: Cristo è risorto e ci precede in Galilea, sulle strade di ogni uomo bisognoso di compassione.