Il Castel dei Mondi secondo Michele Sinisi: «È bello essere stato testimone di una evoluzione, di un allenamento continuo del pubblico andriese; poi recitare nella propria città è la possibilità di carezzare le proprie radici».
Torna in festival Castel dei mondi, torna puntuale l’appuntamento con l’arte di Michele Sinisi: Michele come racconteresti il tuo rapporto col festival e soprattutto col suo pubblico?
Il mio rapporto con il festival è strettamente legato alla possibilità che mi è stata concessa di sperimentare e crescere, e alla fiducia che è sempre stata data al mio lavoro, a questo mestiere di artigiano dell’Arte che è per me il Teatro, nelle persone di Riccardo Carbutti e Francesco Fisfola. Sono anche felice che in questi ultimi due anni abbia avuto come riferimento politico Luigi del Giudice, è “colpa” sua se faccio questo mestiere. Il rapporto con il pubblico ha sempre a che fare con la relazione. È bello essere stato testimone di una evoluzione, di un allenamento continuo del pubblico andriese; poi recitare nella propria città è la possibilità di carezzare le proprie radici.
A proposito di evoluzione, XXI edizioni non sono poche: come hai visto cambiare il festival e la città in questi 20 anni?
L’evoluzione del pubblico è stata agevolata e seguita dall’evoluzione dello stesso festival. È una grande occasione per la nostra città. Il festival permette di avere un luogo per l’arte con diverse espressioni. La diversità dei linguaggi e la sua comprensione ci dovrebbero aiutare una maggiore apertura anche nell’arte del vivere.
Cosa puoi anticiparci su quello che porterai in scena stasera e domani, 25 agosto?
Posso dire che apriremo le porte alla visione del processo creativo; condivideremo lo studio che questo eterogeneo gruppo di attori ha fatto su un testo molto attuale quale Caligola di Camus. Abbiamo giocato con serietà e ci siamo divertiti molto. Lo faremo aprendo le porte di Palazzo Ducale riconsegnato alla città.
Michele Sinisi non è solo attore e regista, è anche un maestro che trasmette con generosità l’arte del teatro e dello spettacolo. In questi anni, hai allevato generazioni di attori e di professioni legate al teatro: quanto ami trasmetterete la passione e la sapienza del tuo lavoro?
Mi piace questo mestiere perché l’ho scelto. Ho fatto molte esperienze e mi diverto sempre. Non so se posso parlare di trasmissione, preferisco parlare di condivisione, di messa a disposizione. In modo molto naturale e senza distinzione di ruoli regista-attore, rendo visibile il mio studio sulle storie, sulla loro logica. È arrivare alla semplicità; a ciò che è, senza la pretesa di ciò che dovrebbe essere.
Ad esempio, quest’anno avrai al tuo fianco tre giovani andriesi: Marialuisa Bafunno, Feliciana Sibilano e Gioia Monica Guglielmi; come è nato il vostro incontro e come si sono destreggiate dietro le quinte?
In questo laboratorio le ho accolte molto volentieri. Marialuisa Bafunno mi ha contattata per partecipare come assistente alla regia. Lei ha studiato scenografia al NABA di Milano e si è approcciata alla regia grazie ad uno stage a La Scala dove procede la sua formazione. Feliciana Sibilano l’ho incontrata quando aveva 8 anni. È stato per il suo primo laboratorio di teatro e se fa teatro ne ho un po’ la “responsabilità”. Anche lei ha lavorato come assistente alla regia per Caligola. Gioia Monica Guglielmi è una psicoterapeuta e una psicodrammatista che mi ha affiancato in questo laboratorio per approfondire le tematiche dell’Opera e per proseguire la sua ricerca su questa forma di Artigianato: il teatro
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