
Medea è oggi più che mai lo specchio della nostra società combattuta tra la razionalità estrema e gli infiniti moti dell’animo…
“Perché punire il padre facendo del male a loro e procurandone a me due volte tanto?”
Questo è il dubbio che attanaglia la più grande protagonista del teatro euripideo: Medea.
Donna barbara, lontana dal modus vivendi della società greca, è chiamata a vendicare l’oltraggio che il proprio talamo ha subito, non può lasciare infatti che i suoi nemici ridano di lei, deve dunque muovere la mano contro gli stessi figli e ripristinare il loro onore.
Essi erano considerati illegittimi proprio perché nati da un coniuge straniero e in Grecia nulla era più importante del dare figli riconosciuti alla città.
Questo giustifica l’incredulità di Giasone, cittadino medio ateniese, che dinnanzi alla gelosia e alla furia cieca che muove Medea, si domanda cos’altro avrebbe potuto desiderare ancora questa donna che solo grazie a lui era già fuggita da quel mondo di barbarie che costituiva la propria patria.
Come racconta Apollonio Rodio nelle sue Argonautiche, Medea, per volere delle dee Era e Atena e con l’intercessione di Afrodite, viene colpita dai dardi di Eros, innamorandosi così perdutamente del giovane Giasone giunto in Colchide per compiere l’impresa: conquistare il vello d’oro.
Solo grazie alle arti magiche di Medea l’uomo greco realizza il proprio obiettivo, può così finalmente tornare in patria, dove però ripudia la straniera, da cui ha avuto due bambini, per sposare Creusa, figlia del re di Corinto.
La tragedia euripidea si apre con un canto intonato fuori scena dall’eroina che maledice se stessa e il suo oscuro destino. “Medea è un grande personaggio, grande però alla maniera di Euripide”, innanzitutto è quindi eccessiva, passionale, accecata da un amore che la consuma.
“Se qualcuno non può assistere a questo sacrificio, si allontani. La mia mano non tremerà.”
Questo consiglia all’uditorio in preda al delirio, benché nel teatro greco mai i delitti venissero perpetrati in scena.
Chi è dunque Medea? Una sciagurata, un’infanticida, una folle, una vittima di se stessa? Tutto questo certo e molto altro ancora. È con questo personaggio, dal carattere e dall’animo così turbato, che Euripide per la prima volta nel 431 a. C. rivela quanto complesso e contraddittorio sia il mondo interiore di ciascuno di noi e quanto risulti difficile inquadrare in schemi prestabiliti la nostra identità.
Benché questa tragedia si fosse classificata solo come terza alle Grandi Dionisie, non ottenendo un grande consenso presso il pubblico ateniese, rappresenta oggi uno dei massimi capolavori trasmessici dal teatro greco.
Medea è un personaggio straordinario, eroina negativa certo e condannabile per l’atto estremo e feroce che compie, in grado di suscitare però non solo orrore e sconcerto ma anche compassione.
Sarebbe riduttivo guardare al dramma euripideo solo come ad una storia di gelosia e vendetta: il conflitto insanabile tra Giasone, marmoreo e altezzoso, e Medea, selvaggia e appassionata, è lo scontro tra due diverse civiltà, quella greca legata alla città, ai costumi, alle leggi e quella barbara, indissolubilmente connessa al mondo naturale, alle passioni irrefrenabili e ai sentimenti indomabili.
Medea è oggi più che mai lo specchio della nostra società combattuta tra la razionalità estrema e gli infiniti moti dell’animo, così variegati in tutte le loro sfumature, vinta ed al contempo vincitrice degli stessi, espressione prima del logorio eterno che ci consuma e modello dal quale, secondo il noto procedimento aristotelico della catarsi tragica, tenersi a debita distanza.