Come ci sente? Felici. Strafelici. Anzi ubriachi…
Come ci si sente? Continuavi a chiedertelo da settimane, mentre il giorno dell’appuntamento si avvicinava e provavi la gioia e il terrore per un sogno che si stava finalmente avverando.
Come ci si sente quanto ci si deve staccare dal pianale? Come ci sente quando ti tuffi nel vuoto? E come, quando precipiti a una velocità assurda?
Chissà come sarà…
Poi il giorno arriva e tu continui a chiedertelo. Come ci si sente quando il portellone si chiude e l’aereo incomincia a rollare? Quando prende quota e ti rendi conto che si sta facendo sul serio ed è troppo tardi anche solo per pensare di tornare indietro?
Guardi dal finestrino le case, gli alberi, il mare, la terra farsi sempre più lontani. L’altimetro segna 2000, 2100, 2200, continua a salire e lo farà sino a quota 4000 metri.
Sai che ormai ci sei e che, una volta su, bisognerà pur scendere: buttarsi, anzi no, lanciarsi. Con un paracadute. Per la prima volta in vita tua. Ok. Non sei solo, sei in tandem col tuo istruttore, Cesare, un tipo sicuro, che solo a guardarlo mette serenità: 16 anni di attività e 3000 lanci alle spalle, tre solo stamattina, il tuo è il secondo. Ma non è che questo sia sufficiente a eliminare l’orrore e il fascino di cadere giù…
È il momento. L’adrenalina è a mille. Pensi che la miglior cosa che tu possa fare sia tirare un bel respiro e liberare la mente, abbondare il corpo, lasciarti andare…
Portellone aperto, i primi due si affacciano, un attimo e sono già fuori, in volo. Li vedi sparire, non fai in tempo a realizzare che è il tuo turno e sei già con le gambe sospese al vento. Sorridi a Luca, il tuo video flyer, che ti punta la GoPro. Ancora un istante e sei… libero!
Sì, sei libero. È un attimo, neanche riesci a ricordarlo con chiarezza, tanto fugge via istantaneo, proprio come in un flash. Ora precipiti a corpo libero, a circa 220km all’ora, rovini in meno di un minuto da quota 4000 a quota 1500, ma è il minuto più bello della tua vita.
Urli a squarciagola: “Sìììì, sìììì, sìììì!!!”. E ancora: “Sìììì, sìììì, sìììì!!!”. Lo ripeteresti all’infinito. A pollici verso l’alto e un sorriso a 64 denti. Il sogno della tua vita si sta realizzando e senti solo leggerezza e libertà. Mandi baci. Fai il segno del cuore.
Ringrazi tua moglie. Le dichiari il tuo amore. Lo stesso fai con i tuoi figli che, per i tuoi 50 anni, l’hanno convinta a farti l’unico regalo che avresti voluto: lanciarti in volo con un paracadute.
Che ora si apre e ti fa sentire forte lo strappo che ti frena. Avverti il vuoto d’aria, mentre Luca scompare in meno di un secondo, perché continua a rovinare a corpo libero.
Dovrà atterrare prima di te, per riprendere il tuo arrivo. Rallenti e incominci a goderti il panorama. L’azzurro del mare. La terra bruciata dal sole. Gli alberi a frotte. Le viti, gli ulivi di Puglia, oltraggiati dalla xylella.
Come ci sente? Felici. Strafelici. E col cuore in gola, naturalmente. Come quando Cesare ti chiede di virare tutto da un lato e il paracadute prende una velocità spaventosa, tanto da farti pensare che state per fare un capitombolo.
Poi si torna dritti e si continua la discesa. Entrambe le braccia stese in alto: si va avanti. Tiri il braccio sinistro: si va a sinistra. Tiri il destro: e svolti a destra…
Il campo di atterraggio si fa sempre più vicino. Sono passati pochi minuti dal lancio, ma ti senti col fiatone, come al rush finale di una maratona. La più breve e lunga della tua vita, anche se non hai mosso un solo passo. Mentre il cuore smania di luce.
C’è una cosa: hai volato. Sì, per una volta in vita tua, hai volato. Hai sperimentato l’ebrezza di lasciarti andare, di precipitare senza remore, libero da ogni inibizione, senza freni.
Strano, è la forza di gravità che ti attira al suolo, ma è la stessa che non avverti più mentre scendi a precipizio e ridi e sei pazzo di vita e senti di amare il mondo, pensi che la gioia più grande sia esserci, anche se comporta una enorme misura di dolore, ma benedici la fortuna di essere vivo e di amarla davvero, questa bastarda e benedetta esistenza, a dispetto di tutto: del batticuore che vivi ora e delle delusioni del passato. Degli amici che stanno in ansia per te e di quelli che ti hanno tradito. Di chi ti ha amato e di chi ti ha invidiato. Di chi ti ammira e di chi ti butterebbe volentieri a mare. Dei traguardi che hai superato e di quelli che hai fallito. Delle batoste e delle carezze. Delle volte che avresti voluto essere diverso da come sei: magari sempre vincente, magari più furbo e cinico, come tanti. E di quelle che hai ringraziato Dio per essere come sei, probabilmente un po’ ingenuo, ma felice di amare e di essere amato.
Sei in volo. Con un paracadute. E tutto il resto non conta.
Alla sera, anche senza farci caso, lo senti ancora, anzi di più: un cuore largo, un petto gonfio. Respiri e l’avverti, la felicità che ti si allarga dentro.
Come ci si sente? Felici, strafelici. Anzi, ubriachi.
“Ave, Caesar, victuri te salutant!”
UBRIACATEVI
Bisogna sempre essere ubriachi. Tutto qui: è l’unico problema. Per non sentire l’orribile fardello del Tempo che vi spezza la schiena e vi piega a terra, dovete ubriacarvi senza tregua. Ma di cosa? Di vino, di poesia o di virtù: come vi pare. Ma ubriacatevi. E se talvolta, sui gradini di un palazzo, sull’erba verde di un fosso, nella tetra solitudine della vostra stanza, vi risvegliate perché l’ebbrezza è diminuita o scomparsa, chiedete al vento, alle stelle, agli uccelli, all’orologio, a tutto ciò che fugge, a tutto ciò che geme, a tutto ciò che scorre, a tutto ciò che canta, a tutto ciò che parla, chiedete che ora è; e il vento, le onde, le stelle, gli uccelli, l’orologio vi risponderanno: «È ora di ubriacarsi! Per non essere schiavi martirizzati dal Tempo, ubriacatevi, ubriacatevi sempre! Di vino, di poesia o di virtù, come vi pare».
(Charles Baudelaire, Lo Spleen di Parigi, XXXIII)