L’altro, il prossimo, non è un’idea, è una persona, un uomo, una donna, che ha un bisogno…

La voce di chi vive ai margini ed è scartato è silenziosa, poco interessante, spesso ne ascoltiamo l’eco, ma non l’udiamo. Passiamo davanti più volte al giorno, nell’indifferenza totale, ma è importante fermarsi, come il Samaritano che era in viaggio e notò un tale, nudo, malmenato e mezzo morto, e “passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione”. La compassione ti com-muove ed è una delle forme più alte dell’amore, della carità.

«Mi chiamo Ottavia…. e sono nativa di una città a circa 30 km a sud di Andria. All’età di 45 anni mi ritrovai abbandonata per strada, con un matrimonio fallito, con un rapporto paterno altamente conflittuale e con il rifiuto di ospitalità da parte di mia sorella. Diventare uno scarto nella vita è un momento perché credo che nessuna persona al mondo vorrebbe preferire la strada, il freddo e i rantoli della fame, ad un tetto con un letto, un bagno e un pasto e magari qualche carezza.

Sin da piccola la mia vita affettiva è stata caratterizzata da un padre prepotente. Ho visto mio padre picchiare mia madre, ho sentito mia madre disperarsi perché mio padre preferiva altre donne, ho avvertito minacce di molestie da mio padre sulla mia pelle.

Nel luglio 1998 mia madre è morta. Subito dopo ho conosciuto Giovanni il mio ex marito. Dopo un po’ di tempo mi sono sposata e per quasi dieci anni, seppur con qualche stento, tutto procedeva normalmente. Giovanni lavorava come manovale edile e percepiva uno stipendio, che ci garantiva vitto, alloggio e qualche piccola soddisfazione; poi il licenziamento di Giovanni e la conseguente caduta nell’oblio. Giovanni da quel momento iniziò a bere alcool in modo smisurato e iniziarono i primi debiti, i primi litigi, i primi maltrattamenti. Dopo qualche tempo arriva lo sfratto esecutivo. La vita tra me e Giovanni inevitabilmente si divide.

Chiedo accoglienza a mia sorella, lei inizialmente è disponibile ad ospitarmi ma passa qualche settimana e per incomprensioni davvero futili mi ritrovo per strada. Dopo qualche giorno all’agghiaccio nella stazione di Bari decido di rivolgermi ai Servizi Sociali della mia città di residenza, che mi danno una mano per un breve periodo e poi mi scaricano rivivendo, nuovamente l’abbandono, la solitudine e l’esclusione da un sistema welfare apparentemente umano, ma lasciatemelo dire disumano, cieco e insensibile.

Il 1 Aprile 2015 arrivo ad Andria con una borsetta e nulla più. Le porte della Casa famiglia ‘Chiara Lubich’, della Comunità ‘Migrantesliberi’ si aprono, un clima familiare mi accoglie con discrezione tra ascolto e silenzio, tra carezze e stimoli. Passato il primo periodo di adattamento, è iniziato il momento della fiducia, fino a giungere al tempo della serenità.

Tra qualche mese compio 48 anni ed è tempo di bilanci. Trovarsi come donna ai margini prima affettivi e poi sociali ed accettarsi come persona risulta molto difficile. Ciò nonostante è sempre possibile trovare la forza di sopravvivere perché la vita è bella e va amata.

Difficilmente esterno le mie emozioni, ma se racconto la mia storia è grazie alle persone come Giusi, Antonio, Santina e Francesca e di tanti altri della Comunità ‘Migrantesliberi’, che ogni di’ si occupano e si preoccupano della mia esistenza».

La compassione non è un sentimento statico è un sentimento dinamico, di avvicinamento a chi ha un bisogno. La compassione è la forza, vitale, di non voltare lo sguardo dall’altra parte, ti ferma e non ti lascia scappare.

Aver compassione è il sentire con l’altro e per l’altro, è un grido a un Tu senza il quale ‘l’altro’ non potrebbe vivere.

L’altro, il prossimo (dal greco plesíos, letteralmente l’altro che ci sta vicino, cioè, proprio la persona che vedi, che senti e che puoi toccare), non è un’idea – poveri, anziani, ignoranti (senza cultura), carcerati, migrati, disoccupati, prostitute, disabili, emarginati, giovani…– è una persona, un uomo, una donna, che ha un bisogno.

Dobbiamo imparare a riconoscerci, “prossimi”, diversamente ci sentiremo, sempre più, avversari. Non c’è alternativa: amico o nemico; pace o guerra; vita o morte; luce o tenebre; umani o disumani.

Ottavia ha incontrato nel suo percorso alcuni che si sono si sono avvicinati, prossimi, che non hanno avuto paura di darle una mano e poi abbracciarla.

Ottavia ha incontrato degli uomini e delle donne che non le hanno dato morte, perché sanno bene che facendo morire il prossimo, potrebbe morire la loro umanità.


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So che tutto ha un senso. Nulla succede per caso. Tutto è dono. L'umanità è meravigliosa ne sono profondamente innamorato. Ciò che mi spaventa e mi scandalizza, non è la debolezza umana, i suoi limiti o i suoi peccati, ma la disumanità. Quando l'essere umano diventa disumano non è capace di provare pietà, compassione, condivisione, solidarietà.... diventa indifferente e l'indifferenza è un mostro che annienta tutto e tutti. Sono solo un uomo preso tra gli uomini, un sacerdote. Cerco di vivere per ridare dignità e giustizia a me stesso e ai miei fratelli, non importa quale sia il colore della loro pelle, la loro fede, la loro cultura. Credo fortemente che non si dia pace senza giustizia, ma anche che non c'è verità se non nell'amore: ed è questa la mia speranza.