C’era una volta…

C’era una volta, tanto tempo fa, un enorme castello isolato sopra la Murgia barese: vi abitava una famiglia di giganti.

Questa storia era nota a coloro che, qualche volta, si trovarono a passare da quelle parti.

Oggi, di quell’immenso castello, non rimangono altro che rovine e dei sassi sparsi, occultati dai cespugli di rovi e rosmarino che ha modellato il paesaggio rendendolo simile a quello circostante.

Col passare degli anni, della famiglia di giganti, non si seppe più nulla, ma si cominciò a raccontare una storia.

C’era una volta, quando la giovane, abitante del maniero, un bel mattino si recò a giocare fuori delle mura: era la figlia del gigante.

Lei, saltellando, spensierata e gioconda, attraversò il ponte levatoio, raggiunse il limite del bosco e, curiosa, lo attraversò.

Qui si trovò ai piedi, una valle stupenda che terminava con una striscia blu all’orizzonte, la quale si confondeva con l’azzurro del cielo.

Fu lì che, dall’alto, sgranando gli occhi per la meraviglia, nel fondo valle lei vide due piccoli cavalli che aprivano dei solchi, mentre tiravano un luccicante e minuto vomere.

Pure l’omino che camminava dietro e che reggeva l’aratro attirò l’attenzione della giovane la quale smaniò alla vista di una simile scena e credette di trovarsi di fronte ad un nuovo giocattolo, prima di allora mai visto.

Di gran lena lei si precipitò verso valle e cavò di tasca il suo moccichino. S’inginocchiò e lo distese davanti a sé e, con le mani, raccolse delicatamente tutto ciò che si muoveva sul terreno e lo adagiò sopra. Infine prese i quattro pizzi del fazzoletto, li unì formando un involucro e, con cura, se lo portò al castello.

Dalla gioia non stava più nei suoi panni la bambina mentre, radiosa come non era mai stata, correva verso il maniero.

Raggiunse i pressi delle mura e, a squarciagola, incominciò a gridare: -Papà, mio caro papà! Ammira cosa ho trovato laggiù nella valle: un nuovo, meraviglioso giocattolo! Contempli pure tu quant’è bello! Ammira come si muove… è una vera gioia averlo trovato! -, ma non si decideva ancora ad aprire l’involto affinché suo padre potesse guardarci dentro.

Il gigante era seduto dietro un ampio tavolo intento a bersi un bicchiere di vino.

Lui levò lo sguardo verso la bambina e, contrariamente alla sua mole di gigante, usò una vocina amorevole, quando le chiese: -Che cosa nascondi nel tuo fazzolettino? Io noto solo che c’è qualcosa che si muove, là dentro. Tu salti di gioia, ma lasciami almeno vedere cosa nasconde il tuo piccolo fagotto!

La giovane pose l’involto sul tavolo, sotto i grandi occhi del gigante genitore, lo aprì con la dovuta cautela e lasciò apparire, con stupore di questi, la pariglia di cavalli con l’omino che seguiva l’aratro.

Lei saltellò dalla gioia e batté le mani esultando per la nuova scoperta, per il suo originale balocco.

Il vecchio colosso, si fece grave, serio in viso, scosse la testa in segno di diniego e rimbrottò leggermente la giovinetta: -Che cosa hai fatto figlia mia? Come ti è saltata in mente una simile idea? Questo non è un giocattolo: è un contadino che sta preparando la terra per la semina.

Senza di lui noi non avremmo pane.

La bambina rimase senza parole e quasi le venne da piangere: tutta la sua gioia, di colpo, si trasformò in sconforto.

A questo punto il gigante, suo padre, le ordinò: -Ora, ma senza protestare, poiché questo è un comandamento che io ti sto impartendo, tu devi riportare indietro tutto ciò, esattamente dove l’hai preso, e poi tornatene subito a casa! Ci siamo intesi? Poi si alzò, possente con tutta la sua mole di gigante e, brontolante, seguitò a dire, -Un giocattolo! Ma quale giocattolo! Che Dio ce ne guardi! È un contadino, questo! È il vero re della terra, quello che produce il pane.

Noi giganti discendiamo pure da famiglie contadine ed è il pane che ci ha resi così forti e grandi. Rivoltando la zolla, i nostri avi hanno dato ossigeno e respiro alla terra, perciò figlia mia, prima che si faccia buio, riporta tutto nel sito dove l’hai preso e ritorni subito a casa.

A quel punto pure la ragazza capì e, suo malgrado, riportò indietro la pariglia di cavalli, con l’aratro e l’omino.

Riportò tutto laggiù nella valle che, intanto, era rimasta mezza rivoltata e assumeva dei colori policromi sotto i raggi del sole che, a quell’ora tardi, la illuminava.

Sulla Murgia barese oggi, di quel castello non rimane altro che qualche sasso sparso e altri ancora avvolti e celati da cespugli di rovi e rosmarino: neppure della famiglia di giganti se ne sa più dove e come sia finita.

Solo la valle è rimasta a ricordare il lavoro del contadino nano, ma i suoi pronipoti oggi, sempre coltivando la terra, sono diventati dei “giganti” e procurano ancora pane per piccoli e grandi bisognosi sulla terra.

Novella tratta dalla raccolta inedita “Con gli occhi del senno”.


FonteFoto di Mick Haupt su Unsplash
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Salvatore Memeo è nato a San Ferdinando di Puglia nel 1938. Si è diplomato in ragioneria, ma non ha mai praticato la professione. Ha scritto articoli di attualità su diversi giornali, sia in Italia che in Germania. Come poeta ha scritto e pubblicato tre libri con Levante Editori: La Bolgia, Il vento e la spiga, L’epilogo. A due mani, con un sacerdote di Bisceglie, don Francesco Dell’Orco, ha scritto due volumi: 366 Giorni con il Venerabile don Pasquale Uva (ed. Rotas) e Per conoscere Gesù e crescere nel discepolato (ed. La Nuova Mezzina). Su questi due ultimi libri ha curato solo la parte della poesia. Come scrittore ha pronto per la stampa diversi scritti tra i quali, due libri di novelle: Con gli occhi del senno e Non sperando il meglio… È stato Chef e Ristoratore in diversi Stati europei. Attualmente è in pensione e vive a San Ferdinando di Puglia.