
L’approccio di Barbara McClintock
Ancora non è del tutto nota al grande pubblico la ‘Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza’, istituita dall’ONU nel 2015 per promuoverne il riconoscimento senza discriminazioni di genere, anche se diverse iniziative si sono fatte e si fanno soprattutto negli enti di ricerca orientate in tal senso; e nello stesso tempo stanno prendendo sempre più piede studi e ricerche con l’obiettivo di ricordare il ruolo che hanno avuto figure femminili nel corso del tempo per i contributi fondamentali dati ai vari campi del pensiero scientifico. Si distingue in particolar modo il volume di Sara Sesti e Liliana Moro, Scienziate nel tempo. Più di 100 biografie del 2018 e più volte ristampato sino al 2023, dove si dà il dovuto spazio a donne sia del passato come Ipazia che contemporanee dei vari paesi e, per quanto riguarda quelle italiane, da Maria Gaetana Aspesi e Laura Bassi a Margherita Hach, Rita Levi-Montalcini e ad alcune ancora in vita; il merito di tale lavoro è quello di ‘restituirle alla memoria’, di vederne come a volte hanno ‘rifondato’ la disciplina in cui erano impegnate grazie a dei lavori pioneristici sino a trattare la non secondaria questione dei ‘Nobel negati’ a diverse di loro.
Ma, per capirne meglio le dinamiche dei percorsi di ricerca e soprattutto le modalità e i metodi a base delle scoperte ottenute, si rende necessario un’analisi di tipo storico-epistemologico per entrare nel loro vissuto di scienziate alle prese con un personale ‘travaglio dei concetti’, a dirla col matematico Federigo Enriques, messo in atto con l’andare a volte controcorrente rispetto ai canoni vigenti nel campo in cui venivano ad operare; e questo è stato reso possibile grazie al fatto che hanno saputo di più coniugare, rispetto alle figure maschili, in modo organico le ragioni della vita con quelle della conoscenza, tali da poterle considerare, sulla scia di Etty Hillesum, dei veri e propri ‘cuori pensanti’ di questo intreccio. Ma sono pochi ancora i lavori incentrati sul modo di operare delle scienziate nei rispettivi campi, salvo negli studi condotti non a caso in quel settore che va sotto il nome di ‘epistemologia femminista’ che lo ha posto al centro dell’attenzione; tale movimento di pensiero, nato negli USA e portato avanti da figure femminili dagli anni ’80 del secolo scorso, ha prodotto una notevole letteratura critica sulle differenze di genere a monte dei vari tipi di conoscenze, e non solo di quella scientifica, sino a porre il problema dell’esistenza di una ‘scienza femminista’, come da parte di Helen Longino. Si è dato, in effetti, il giusto peso epistemico tra le altre cose all’esperienza della vita quotidiana, considerato un luogo dove si producono conoscenze tout court, e al ruolo dei valori non cognitivi nei processi conoscitivi, temi tralasciati in tale ambito di studi (Alessandra Tanesini, Elisabeth Anderson, Sandra Harding e Donna J. Haraway, solo per fare alcuni nomi); e c’è solo da rammaricarsi del fatto che tale capitolo della filosofia della scienza, pur trattando da un’altra visuale le classiche questioni epistemologiche da quello dell’oggettività a quello della giustificazione e della scoperta, non abbia trovato uno adeguato spazio in campo editoriale in Italia, dove si è tradotto quasi tutto dei protagonisti maschili in tale campo.
Ma anche il tipo particolare di conoscenza prodotta in ambito strettamente scientifico è stato oggetto di attenzione primaria come da parte della fisica-biologa Evelyne Fox Keller (1936-2023), un’altra non minore rappresentante dell’epistemologia femminista per alcuni suoi fondamentali lavori come Feminism and Science del 1996; i suoi scritti hanno ottenuto più attenzione in Italia con la traduzione prima di Il secolo del gene nel 2000 ed ultimamente di un suo lavoro su una scienziata, quasi unica nel suo genere, dal significativo titolo In sintonia con l’organismo. La vita e le opere di Barbara McClintock (Roma, Castelvecchi Ed. 2017). Barbara McClintock (1902-1992) ha ricevuto il Premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina nel 1983 per i contributi dati alla trasposizione genetica, teoria considerata insensata per diverso tempo, in seguito a delle ricerche sulle pannocchie di granoturco prima della cosiddetta rivoluzione molecolare e della stessa scoperta del Dna sino a ridefinire i contorni concettuali della citogenetica (da tenere presente che gli stessi J. Monod e F. Jacob ammisero solo dopo di avere avuto nei suoi riguardi una svista per non averla citata nelle loro memorie). Tale critica ricostruzione di un originale percorso di ricerca merita di essere tenuto presente in quanto ci inoltra nell’universo umano e scientifico di una scienziata al lavoro che, pur lavorando ‘proprio come un uomo’, ha dovuto lottare prima in un ambiente di solo uomini e poi, soprattutto, per aver messo in atto un modo di procedere nelle ricerche lontano dagli standard della sua disciplina da sembrare ‘visionaria’, ‘mistica’, ‘eccentrica’, ‘non rigorosa’ con l’andare fuori dei dogmi esistenti. E questo le è stato possibile in quanto perno del suo metodo è stato quello di entrare in stretta empatia con l’oggetto di studio ed in particolar modo con quelle piante di mais che non producevano, col dare così la dovuta attenzione alle loro ‘imperfezioni’, nel senso di Rita Levi-Montalcini, viste come delle sofferenze e scartate a priori dalla teoria vigente che spesso impone una risposta prestabilita; e per capirne le ragioni di tale diversità e differenza, Barbara McClintock ha “lasciato parlare il materiale”, come spesso ha sostenuto, si è fatta una di loro entrandovi nel profondo sino ‘a scrivere l’autobiografia di ogni pianta’, come afferma Fox Keller, e di ogni cromosoma al di là della sua stessa sperimentazione in laboratorio:
Quando osservo una cellula, è come se ci entrassi dentro e mi guardassi intorno… Tutto avviene a livello inconscio. È qualcosa che mi è successo molte volte, e so quando prenderla seriamente. Non ne parlo, non ho nessuno a cui confidarlo, semplicemente sono sicura che è così… È necessario fidarsi completamente, comprendere completamente. Io capivo ogni pianta. Senza sapere quali dati stessi integrando, compresi che cos’era il fenotipo.
Mi accorsi che più lavoravo con loro (i singoli cromosomi), più essi mi apparivano grandi, e quando veramente ero con loro, non ero più qualcosa di esterno che li osservava, ma ero lì con loro… Ero persino capace di vedere le parti interne dei cromosomi, sì, tutto era lì. Restai sorpresa io stessa, perché davvero mi sentivo come se fossi là in mezzo e mi trovassi tra amici. Era un vero e proprio amore per le parti che si combinano insieme. Mentre le guardi diventano parte di te. E ti dimentichi di te stessa.
Cercare di fare rientrare tutto in un dogma prestabilito non funziona. Non esiste un dogma centrale in cui tutto combaci. Qualunque cosa… anche se non sembra troppo sensata, la si può trovare. Così se il materiale ti suggerisce ‘le cose stanno in questo modo’, occorre dargli credito. Non bisogna rifiutarlo chiamandolo un’eccezione, un’aberrazione, un contaminante.
Ed era chiaro che tale metodologia ed i risultati conseguiti, poi accompagnati dall’interesse per l’embriologia, pur portando novità sostanziali, furono ritenuti fuori dai canoni vigenti nella sua epoca, addirittura ‘incredibili’ sino a sembrare ‘un’eresia per le conclusioni radicali’, oltre ad essere considerate oscuri e ‘folli’ come riporta Kox Keller che l’ha intervistata e che chiarisce il suo ‘metodo’ teso a dare il giusto ruolo ai dettagli anche più insignificanti per una corretta comprensione dell’insieme. Barbara McClintock confessa di non essere in grado di riprodurre il ragionamento che è alla base delle sue ricerche, i graduali passaggi dall’intuizione alla scoperta vera e propria; ma sottolinea sempre il suo entrare programmaticamente dentro l’oggetto come i cromosomi, prima visti in modo generale e disordinato e poi colti nella loro singolarità, quasi a condividerne le sorti. Ella è stata, pertanto, un loro ‘cuore pensante’, è entrata in punta di piede nella loro storia col coglierne l’unicità e l’irripetibilità, cosa quasi vietata per principio dalla teoria vigente; ha praticato un modello di ‘intelligenza comprensiva’ e tale modo può essere visto nelle scienze naturali come quel processo di ‘immedesimazione comprendente’ o fusione degli orizzonti, insieme cognitivi ed esistenziali, che Hans Gadamer vedeva essere quasi esclusivamente operante nell’ambito delle scienze umane.
La scienziata americana ha messo in moto un processo cognitivo col dare una certezza immanente al NOR (Regione Organizzatrice del Nucleolo- Nucleolus Organising Region) chiarendone in senso razionale l’estrema complessità; per altri, questo campo rimaneva qualcosa di evanescente e senza un preciso significato nell’ambito della biologia cellulare quando invece per lei aveva una sua ‘logica’ che le permetteva di vedere e ‘presentire’ cose non diversamente intelligibili. Ma a poco a poco quelli che sembravano romans de biologie, per parafrasare l’accusa da parte di alcuni fisici sperimentalisti nei confronti di Ludwig Boltzmann di fare dei romans de physique con considerarlo un ‘terrorista matematico’ per l’importanza accordata alle matematiche nel suo famoso teorema H e privi come tali di consistenza, sono stati accettati; e hanno però alimentato il ‘mito McClintock’, che Evelyn Fox Keller nel suo lavoro cerca di smontare dimostrandone l’originalità e la specificità per la non comune capacità di ‘vedere più lontano’ rispetto ai colleghi del suo tempo. Ed il tutto è visto come frutto del fatto di essere stata capace di ‘non mentire sul reale’, nel senso di Simone Weil, e di farne emergere la genesi delle leggi più di fondo, bisognose come tali di ben altra attitudine cognitiva; e a queste ‘leggi’, a dirla con una idea poco nota di Albert Einstein riportata da G. Holton, non a caso si può arrivare ‘non con sentiero logico ma solo con l’intuizione, sostenuto dall’essere in contatto con l’esperienza in maniera simpatetica’. Barbara McClintock, a differenza dei suoi colleghi, ha aperto un ‘sentiero’ basato sul veçu degli oggetti studiati visti così come ‘soggetti’ con i loro aspetti più singolari e nuances, che si possono meglio cogliere facendo in modo programmatico coniugare l’esprit géométrie con l’esprit de finesse.
É stato messo in pratica quella ‘nuova alleanza’, sollecitata negli anni ’80 dal Premio Nobel per la Chimica Ilya Prigogine e poi fatta propria dai maggiori protagonisti del pensiero complesso, tra saperi scientifici e saperi umanistici i cui indispensabili corredi teorici hanno permesso a Barbara McClintock di delineare un diverso tipo di razionalismo, quello che. sviluppando una idea di Gaston Bachelard, si potrebbe chiamare un ‘razionalismo delle nuances’ (sfumature) in quanto basato su un modo particolare di ‘vederle’ e di ‘comprenderle’; certamente, questo particolare ‘travaglio dei concetti’ messo in atto dalla scienziata americana è unico nel suo genere, ma se capito bene, come ci ha indicato a farlo Evelyn Fox Keller, aiuta senza dubbio a mettere da parte le accuse da più parti rivoltele di essere ‘mistica’, ‘eccentrica’, ‘non scientifica’. E a tal proposito, nella sua epoca ed ancora oggi in certi ambienti restii a prender atto della complessità del reale e delle sue ‘mille ragioni’ per lo più ancora nascoste, dire ‘sei un mcclintockiano’ è sinonimo di tale atteggiamento inteso come poco rigoroso, ‘femminile’, fuori dagli schemi. E ci piace concludere, per capirne meglio l’esprit di fondo di tale scienziata che merita di essere ‘ricordata’ anche per il suo originale ‘metodo’, con queste affermazioni dello scrittore colombiano Nicolas Gómez Dávila: ‘La coerenza autentica delle nostre idee non deriva dal ragionamento che le unisce, ma dall’impulso spirituale che le genera… La verità nasce nell’anima che si agita in mezzo al silenzio delle cose… La verità si corrompe quando dimentica il processo concreto da cui nasce’.