Tratto da un articolo, pubblicato nel 2016 dal New York Times Magazine, dal titolo “The lawyer who became Dupont’s Worst Nightmare”, “Cattive Acque“ è un film diretto da Todd Haynes che narra, appunto, traducendo il pezzo giornalistico di Nathaniel Rich, le beghe giudiziarie di un avvocato divenuto il peggior incubo della Dupont, un’azienda chimica responsabile dell’inquinamento idrico a Parkersburg, cittadina agricola nel West Virginia.
Attore principale della pellicola è l’acido perfluoroottanoico, il PFOA, quel teflon elemento cancerogeno che, dopo aver sterminato il bestiame di un mandriano, ha ucciso, fisicamente ed umanamente, gente inconsapevole, persone abituate ad utilizzare, nel quotidiano, padelle, astucci e rivestimenti, un business vigliacco messo in piedi sulla pelle e sul sangue di tutti noi.
Era il 1998, anni lontani dalla sensibilizzazione green di Greta Thunberg, anni in cui gli studi associati difendevano le multinazionali farmaceutiche. Era il 1998 e l’uomo di Legge Robert Bilott decide di perorare la causa di una giusta rivalutazione degli eventi, sopraffazioni da combattere a suon di comma e postille. Robert Bilott come Erin Brokovich, Mark Ruffalo che sostituisce Julia Roberts…
Ruffalo indossa i panni del paladino della giustizia, arriva ad inimicarsi non solo il proprio capo (Tim Robbins de “Le Ali della Libertà“), ma persino, in un primo momento, sua moglie Sarah (Anne Hathaway). La battaglia legale di Bilott si dipana lungo paesaggi cimiteriali e aule di tribunale, divincolandosi tra faldoni e scartoffie, sommerso da copiose quantità di documenti impilati a mo’ di calunnie e sensi di colpa.
Prodotto, fra gli altri, dallo stesso Ruffalo e distribuito da Eagle Pictures, “Cattive Acque“ evidenzia una presa di coscienza, la consapevolezza del bene comune che smentisce i poteri forti, la svolta ambientalista di calamità naturali fino ad allora sottaciute, celate come polvere sotto il tappeto della vergogna, esalazioni da inalare in barba alla mera disinformazione, un inestimabile risarcimento, acqua non potabile incapace di abbeverare bocche asciutte di speranza, bocche che, tuttora, ai tempi del coronavirus, parlano per protestare e per vedersi riconoscere l’inalienabile diritto alla salute.