«Ho raccontato la storia di Lele ai miei figli che hanno la sua stessa età, ho usato il verbo “morire” e il verbo “andare”»

Sulla terra, trascinando i piedi, alzando la polvere, cercando le scarpe più comode per il viaggio della vita, a volte lentamente e altre velocemente per recuperare il tempo che un neuroblastoma pediatrico ruba.

Asciugando il sudore e le lacrime, alzando gli occhi al cielo, prossima destinazione.

Prego per lui, ho imparato a farlo in 45 anni solo da poco, da padre, questo nostro Dio, probabilmente si è ritirato dopo aver creato, di togliere qualche giocattolo da quel paradiso che abiteremo e concedere un cellulare o una camera, con cui poter girare dei video e caricarli su YouTube.

Il 29 marzo è morto un bambino di nove anni di nome Gabriele, era uno youtuber, aveva un suo canale e per tutti coloro che lo seguivano era solo Lele Joker.

Ho visto alcuni video, erano girati in un Ospedale Pediatrico Americano dove la famiglia ha cercato inutilmente di curarlo: piccolo, con i capelli corti, gentile, sorridente ed educato, invitava a realizzare i propri sogni a non perdere la speranza.

Non me la sento di dire altro perché non si può invitare alla commozione, la morte di un figlio non ha religione né fede, è un debito con il destino che non si può saldare, è il freddo che non ha una coperta, l’amore che non ha braccia, è l’eco di un urlo disperato che ritorna di continuo.

Gli uomini ora sono impegnati, un futuro Premiere deve sedere su di una poltrona consunta dal peso politico, lo spettacolo deve continuare, si dovrà scegliere tra uomini o caporali, tra laureati e diplomati, tra poveri e sussidi, intelligenti e stolti. Un proverbio cinese recita che a chi ha fame non si dà il pesce ma una canna da pesca.

Ho raccontato la storia di Lele ai miei figli che hanno la sua stessa età, ho usato il verbo “morire” e il verbo “andare”, nel paradiso dei bambini dove ogni notte salgono le mamme e i papà per giocare: il sonno a certi genitori serve proprio a quello, tenere compagnia a chi ha chiuso gli occhietti.

Il traffico di persone, di sorrisi abbozzati, di vite che lottano per un po’ di felicità, qui giù tra i vivi sopravvissuti è la parte più noiosa.