“Diario di una segreta simmetria. Sabina Spielrein tra Jung e Freud” di Aldo Carotenuto (Casa Editrice Astrolabio) è un libro che riporta, a mo’ di epistolario, le sedute psicanalitiche e transferenziali di una paziente e del suo psicoterapeuta. Ma perché uomini e donne intraprendono una relazione extraconiugale? L’abbiamo chiesto a Tiziana Lanciano, Psicologa, Psicoterapeuta, Professore Associato di Psicologia Generale all’Università di Bari.

Salve, Dottoressa. La segreta simmetria fra Sabina Spielrein e Jung è, secondo lei, un amore incondizionato o l’infatuazione irrazionale e comune in una relazione paziente/terapeuta?

Quello dell’infedeltà è uno dei temi più frequentemente riportati in un setting terapeutico e non è inusuale che alcune di queste dinamiche si incasellino proprio in una relazione asimmetrica come medico/paziente, docente/allievo, capo/dipendente, etc… Il diverso ruolo che si riveste nella relazione porta con sé elementi che possono confondere il sentire umano: stima, intimità, complicità, idealizzazione, attrazione, impegno, interessi comuni, vicinanza e affinità.

Cosa siano le relazioni clandestine è una domanda ambiziosa ed è difficile mettere la risposta dentro i confini delle parole. Ogni storia è figlia dell’unicità di chi ne fa esperienza e ne genera significato: si può andare dal rischio di avventurarsi nei meandri dell’animo umano implicando passione e coinvolgimento (come accade a Jung) alla sfida di scardinare le certezze nell’altro e insinuargli il dubbio; dal desiderio di livellare se non addirittura ribaltare l’asimmetria al bisogno di essere riconosciuti da una persona ritenuta validante e che racchiude una serie di caratteristiche attrattive e attraenti. Il nodo importante è che le persone coinvolte in una relazione clandestina siano il più possibile consapevoli di cosa le muove e, soprattutto, verso dove.

La paura di un rapporto extraconiugale spinge, spesso, a sentirsi sporchi e giudicati nell’incapacità di provare sentimenti alla luce del sole. In situazioni come questa, è sbagliato definirsi nei ruoli stereotipati di vittime o carnefici?

Lo stereotipo, o qualunque altra forma di categorizzazione, risponde ad una logica riduzionistica che svuota di significato l’esperienza stessa. Quella ‘vittima/carnefice’ è una semplicistica distinzione che mette a proprio agio chi la usa per non doversi confrontare con la complessità dell’animo umano, che richiede invece sospensione del giudizio e umile ascolto. Nelle relazioni clandestine è essenziale comprendere pienamente il significato di cui si veste l’esperienza clandestina, che effetto fa trovar-si in quella situazione, ‘cosa regge’ quella esperienza e – non da meno – quali possibilità d’essere si intravedono da quella posizione (da adultero o da amante che sia).

Nelle relazioni extraconiugali si comprende l’altro come possibilità di tradire e contemporaneamente si comprende se stessi come disponibili al tradimento, generando quindi un’altra possibilità d’essere. Ma quale è il prezzo (morale) da pagare? Nuovi vissuti emotivi si dispiegano, molti entrano in conflitto con una certa immagine di sé: per esempio, cogliersi nel piacere del tradimento e in una certa inclinazione all’inganno, oppure scoprirsi pienamente riconosciuti come l’ossessivo oggetto del desiderio di qualcuno, o ancora comprendersi fragili e vulnerabili, inadeguati senza l’altro attraverso cui ‘sentirsi’. Ed ecco allora che una serie di narrative vengono imbastite per tenere insieme tutti i pezzi dell’esperienza in modo che l’essere umano possa ritrovarsi in qualcosa che gli è familiare e che lo protegga (‘vittima innamorata/carnefice manipolativo’ o ‘innamorati ma impossibilitati a sfilarsi dalle relazioni ufficiali’ sono esempi preconfezionati di queste narrative).

Quello che si vive in una relazione extraconiugale acquisisce senso proprio in una trama di significato che è quella del tradimento stesso, al di fuori della quale è possibile che molto di questo senso si perda. Ci sono storie la cui potenza travolgente ed emotiva sorge, si alimenta e si consuma nell’atto stesso di tradire. Una relazione clandestina è davvero figlia del peso morale di non potere amare alla luce del sole o è (anche) figlia dell’incapacità di farsi carico di sé? Quante di queste storie sopravviverebbero allo svincolo della clandestinità?

Il tradimento è un’omologazione sociale limitante o l’estenuante ricerca del piacere (fisico e mentale) di sfidare il proibito?

Entrambe, o nessuna. Si tradisce tanto, è vero. E si soffre anche tanto, in ogni caso. L’arco temporale in cui si dispiega il tradimento veste di maggiore complessità il tradimento stesso. Il perché si entra in un tradimento, il perché si rimane, o il se e come ci si sottrae da un tradimento possono avere risposte profondamente diverse anche per la stessa persona. Ogni tradimento dice qualcosa del momento in cui la persona tradisce, della sua posizione di origine e dell’orizzonte che da lì intravede: i suoi bisogni, le sue aspettative, le sue paure, le sue fantasie, le sue insicurezze.

Ci si può accostare ad una situazione pericolosa con la leggerezza e il brio di chi sfida se stesso, in un gioco di equilibrio tra il fascino del proibito e l’illusione di controllo di non scivolarci dentro. Ma mentre l’infedele si misura con questa abilità funambolesca, in realtà il tradimento – in qualche modo – si sta già consumando senza richiedere un atto di meditazione.

Si può tradire perché il contesto del tradimento diventa un nuovo spazio in cui sperimentarsi in altre possibilità d’essere, in cui cimentarsi capaci, scoprirsi diversi e cogliersi in sfumature prima taciute a noi stessi e agli altri. E in questa lettura sottolineo che il termine ‘contesto del tradimento’ non si riduce solo all’amante ma a tutti gli ‘attori’ che entrano in gioco nello sfondo, incluso il partner legittimo. Il traditore negozia di volta in volta questa sua condizione non solo con l’amante ma anche con il compagno di vita che, seppur ignaro, in realtà riveste un ruolo importantissimo nel sorreggere tutta l’impalcatura. Paradossalmente può accadere che, nell’atto di tradire qualcuno, in realtà quel qualcuno non sia mai messo in discussione ma diventi strumentale al traditore stesso.

Si può tradire per provare nuove emozioni, per cercare nuove stazioni di frequenza su cui sintonizzarsi, per poter esplorare – senza impegno – quel ‘come sarebbe se’, generando mondi alternativi e paralleli in cui si crede di poter entrare e uscire come se si fosse nella stanza di una casa. Essere ingaggiato in una relazione clandestina potrebbe essere il modo per reggersi emotivamente senza impegnarsi.

Si può tradire perché nella relazione ufficiale si sta stretti e disillusi, ci si sente murati vivi ma manca il coraggio di decidere e scegliere se stessi. Difficoltà che può essere legata a mille vincoli reali (figli, famiglia) o solo immaginati (giudizio sociale). E cosi, nell’atto del tradimento, la persona fantastica che qualcuno venga e la porti via da quella condizione oramai cristallizzata, sollevandola dalla responsabilità di decidere. E quindi ecco tradimenti confessati, tradimenti sbattuti sulla faccia del partner, tradimenti di cui si lascia traccia perché – in fondo – continuare a stare insieme è più doloroso dell’essere scoperti.

Questa semplicistica carrellata di scenari non esaurisce la complessità estrema del fenomeno e tutti questi scenari non implicano necessariamente un problema (tradotto non tutti i traditori-amanti richiedono un supporto terapeutico). Sempre in linea di principio, se la persona nel suo accadere di volta in volta come traditore si muove e si ritrova generando il giusto significato, la sua funzionalità in qualche modo è mantenuta. La difficoltà nasce quando la condizione non è più agita ma patita, quando si ha la sensazione che l’esperienza del tradimento proceda nonostante sé, quando la libertà di agire e di scegliere si scheletrizza e avanza l’incapacità di dare un senso al proprio vissuto. Qualcosa si insabbia e l’impronta del malessere e della sofferenza si fa sempre più profonda.

In condizioni di apparente libertà emotiva gli amanti fedifraghi riuscirebbero a condurre la propria vita con “normale” progettualità?

Il rapporto adulterio-progettualità abbraccia diverse situazioni che possono andare dalla clandestinità come progetto di vita al tradimento come possibilità per progettarsi diversamente alla luce del sole.

Come ho già avuto modo di dire, in diverse situazioni è proprio la cornice del tradimento a reggere la relazione stessa. Molti traditori/amanti accettano di vivere in relazioni extraconiugali e per loro il triangolo si struttura come forma di esistenza.  In altri casi, la parola tradimento stride con la parola progettualità e chi vive una relazione extraconiugale spesso rifugge dalle domande sul futuro, miope rispetto alle reali conseguenze delle sue scelte o ingenuamente illuso che prima o poi, come per magia, tutto si rischiari e ogni cosa torni al suo posto. Nelle situazioni in cui invece gli infedeli vogliano uscire dal buio e viversi un amore trasparente, indubbiamente il peso dello stigma sociale rallenta il processo decisionale già così difficile per le notevoli poste in gioco. In questo caso, il lavoro importante da fare sarebbe riuscire a sganciare il giudizio dell’altro (figlio, familiare, amico, comunità più estesa) dal senso di sé che se ne ricava.

Concludendo, sono molto legata all’immagine del tradimento come una partita a carte: bisogna conoscere perfettamente le regole prima di sedersi al tavolo da gioco. Ma ahimè non esistono vademecum o prontuari, le traiettorie sono infinite e l’unica vera risposta è la capacità di ripensarsi e riprogettarsi.


Articolo precedenteSiamo stati anche felici
Articolo successivoPoliba partecipa al progetto “STEM 4 future”
Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.