Un lavoro d’equipe, conservare il patrimonio artistico di Tbilisi, in Georgia, attraverso la ricostruzione di una storica scala a chioccola come quella di Escher/Penrose. È questa l’ultima mission di Turan Ziaiemehr, giovane ragazza andriese che ha fatto dell’architettura un ponte interdisciplinare fra culture e professioni:
Ciao, Turan. Milano, Lisbona, Olanda e, ora, Tbilisi. Come si approccia una giovane architetto andriese alla realtà internazionale?
Come molti altri miei coetanei, ho sempre cercato di evadere dalla realtà andriese. Sono dunque andata a Milano per seguire la triennale in Architettura, sognando però, un giorno, di trasferirmi fuori dall’Italia. Quando ho visitato Lisbona per la prima volta durante il mio secondo anno di università, ho deciso che quel posto sarebbe stato la mia prossima meta. Una città incantevole ed un paese meraviglioso. Ho quindi deciso di prendermi un anno di pausa tra la triennale ed il master, malgrado non sia pratica comune in Italia, dove vige la regola del “prima ti laurei prima trovi lavoro!” e del “non perdere tempo e continua a studiare!”. Sono felice di non aver seguito questi sussurri, l’esperienza lavorativa a Lisbona mi ha aperto gli occhi più di qualsiasi altro percorso di studio. Nel frattempo, preparavo il mio portfolio per accedere al master. Quando ho ricevuto la risposta dall’Olanda, dall’università di Delft, ero al settimo cielo; un’università rinomata in un paese perfetto, efficiente e funzionale, ciò che avevo sempre desiderato, almeno all’apparenza. Sono stata in Olanda per pochi mesi, e quei pochi mesi mi sono serviti a capire quanto questa ricerca della perfezione fosse estremamente vana e ridicola. Mi mancava l’autenticità e a tratti anche l’anarchia di Andria, che tanto disprezzavo. Eppure è grazie all’Olanda che ora sono qui, a Tbilisi. È a Delft che ho incontrato Thomas Ibrahim, che ha convinto me e altri tre nostri amici a trasferirci a Tbilisi per ricostruire la scala del cortile in cui aveva vissuto nei suoi ultimi due anni di permanenza qui. L’idea sembrava folle, assolutamente surreale, ma mi ha riportata ad una dimensione di autenticità e nostalgia di cui avevo assolutamente bisogno. Quello dell’architettura non è un mondo lavorativo semplice, ci vuole coraggio e inventiva per rendere le idee possibili.
Di cosa si occupa il collettivo Kibe Projekt?
Kibe Projekt è nato come collettivo per la salvaguardia della scala di fine ‘800 in Dzmebi Kakabadzeebi n°7 a Tbilisi. Kibe, infatti, è la traduzione traslitterata della parola scala in georgiano (კიბე). Il nostro obiettivo, tuttavia, è quello di conservare le dinamiche sociali tipiche dei cortili di Tbilisi, farne capire il valore ai residenti e ai cittadini, creando quindi una dinamica comunitaria che prescinde dall’oggetto come tale e si concentra sugli effetti della salvaguardia del patrimonio storico della città. Speculazione edilizia e progetti di conservazione scarsi e superficiali, stanno lentamente distruggendo il patrimonio culturale di Tbilisi, rendendola un grande luna park turistico con il sogno dell’Europeizzazione. Il nostro obiettivo è quello di creare un precedente per la conservazione del patrimonio culturale.
Quanto conta l’interdisciplinarietà professionale nelle dinamiche orizzontali del tuo lavoro?
L’interdisciplinarità è alla base del nostro collettivo. Pensare all’architetto come un Dio, unico dittatore indiscusso, è un retaggio modernista estremamente antiquato ed è ciò che, secondo me, sta facendo sprofondare la professione. L’architettura delle nostre città è formata da innumerevoli strati di appropriazione e di casualità e demonizzare questi aspetti sognando città formalmente perfette ed “Europee”, per me, altro non è che puntare ad un’architettura globalizzata, un linguaggio unico che porta ordine e pulizia e distrugge tutte le casualità. L’interdisciplinarità è essenziale per conservare tutti questi strati e per capirne il valore, per creare dinamiche che possano arricchire tutti i coinvolti. La collettività è ciò che, per me, rende l’architettura possibile.
La scala a chiocciola georgiana, che state provando a ricostruire anche grazie ad una raccolta fondi (https://gofund.me/c66b210e), potrebbe richiamare quella di Escher o Penrose nell’eterno movimento di uno spirito comunitario scevro da stratificazioni sociali?
Passeggiando per Tbilisi, è inevitabile notare l’innumerevole quantità di scale che ricordano i disegni di Escher e Penrose, ed è anche questo che rende la città unica. Nonostante ciò, queste scale sono sistematicamente distrutte da fantomatici “restauratori”, governo ed investitori privati. Il motivo per cui abbiamo scelto di ricostruire questa scala con le nostre forze è proprio perchè è l’ultima scala di questo tipo, con il suo specifico metodo di costruzione, risalente al XIX secolo. Il processo che stiamo impiegando nel ricostruire la scala, e quindi mantenerla come un oggetto in città, serve per evitare che la Georgia diventi culturalmente ancora più povera, conseguenza che avrebbe un effetto negativo a lungo termine, sul piano finanziario ed economico, per i residenti di questo particolare cortile. Inoltre, come già detto prima, l’obiettivo è di creare un precedente per la conservazione del patrimonio culturale prevenendone la perdita; la città deve mantenere le sue qualità storiche per non perdere definitivamente la sua identità.
Progetti futuri?
Al momento siamo estremamente occupati con il progetto della scala, ma stiamo valutando progetti futuri basati anche su lavori di ricerca precedentemente condotti da Thomas Ibrahim nel contesto georgiano. Tbilisi presenta sorprese continue, non è molto facile pianificare. Quello di cui siamo certi è che Kibe Projekt è un progetto a lungo termine, che sia in Georgia, in Italia o altrove, avremo sicuramente dei piani futuri.