
C’è probabilmente una strategia politica in quello che sta facendo Trump
Le democrazie mature si riconoscono quando promuovono una società della conoscenza e una cittadinanza scientifica.
L’annientamento alla società della conoscenza è iniziato da tempo; la pandemia da Covid-19 ha fatto emergere, da una parte, quanto fondamentale sia la scienza per far fronte a sfide sempre più impegnative e dall’altra quanto potente sia anche la lobby dell’antiscienza. Buona parte dei governi del mondo, o se non altro interi partiti politici, hanno dato voce e ora riabilitato i no vax e complottisti vari.
Abbiamo assistito, nel tempo, a governi che hanno autorizzato cure non efficaci o non comprovate, come la terapia Di Bella, il metodo Stamina, l’omeopatia. Ancora oggi, nonostante sia stato ampiamente dimostrato che non esiste alcuna evidenza scientifica di efficacia terapeutica dell’omeopatia, l’Italia autorizza il rimborso, con una cifra che si aggira intorno a 50 milioni di euro l’anno, di terapie omeopatiche basate su teorie di fine 1700 e confutate dalla medicina moderna.
La storia, peraltro, ci insegna come il pensiero scientifico sia stato ed è spesso osteggiato; dal fanatismo religioso del medioevo, al negazionismo e postverità del nostro secolo.
Un caso emblematico è quello di Ipazia di Alessandria, matematica e astronoma del IV secolo d.C., accusata di blasfemia e anticristianesimo dal vescovo Cirillo e brutalmente assassinata, da una folla di fanatici religiosi, per la sua libertà di pensiero.
Il Rinascimento e l’Età Moderna, nonostante portarono ad una rinascita del pensiero scientifico, hanno anche visto forme di repressione. Il caso più noto è quello di Galileo Galilei, condannato dall’Inquisizione nel 1633 per aver sostenuto il modello eliocentrico di Copernico, in contrasto con la visione geocentrica di Tolomeo e sostenuta dalla Chiesa cattolica. Galileo fu costretto all’abiura: “Con cuor sincero e fede non finta, abiuro, maledico e detesto li suddetti errori et heresie”. Tuttavia, se l’abiura era stata pronunciata per soddisfare l’egocentrismo del pensiero religioso e avere salva la vita, il metodo scientifico elaborato da Galileo aveva ormai squarciato il modo dogmatico di osservare le cose.
Nonostante quel portentoso e rivoluzionario movimento di idee che sembrava aver mutato per sempre non solo l’immagine dell’universo, ma anche la concezione del sapere, non più dogmatico ma basato sul pensiero razionale, si è assistito nel recente passato ad un annientamento del pensiero scientifico. In Germania, il regime nazista ha censurando scienziati come Albert Einstein, promuovendo teorie pseudoscientifiche basate su pregiudizi razziali, sostenute in Italia dal regime fascista.
Oggi, nonostante gli enormi progressi scientifici e tecnologici che hanno permesso di sconfiggere malattie, esplorare nuovi mondi, indagare i segreti della natura, accorciare le distanze non solo geografiche, ma anche sociali si assiste, sebbene con modalità diverse dal passato, ad un continuo attacco alla scienza.
È quello che succede anche nel campo della ricerca scientifica che fa uso di modelli animali, continuamente sotto attacco da associazioni di animalisti e da chi fa da megafono mediatico ad una pervicace disinformazione. Il progresso della ricerca biomedica per trovare rimedi alle malattie, nuovi farmaci, nonché per fornire le basi del sapere medico e veterinario richiede, in molti ambiti, di ricorrere alla sperimentazione animale, la quale è peraltro rigorosamente regolamentata. Tuttavia, la disinformazione alimenta spesso l’odio verso chi è ritenuto non funzionale al “senso comune”. E spesso arrivano agli scienziati anche le pallottole e le minacce di morte.
E così, anche le democrazie cosiddette evolute hanno mostrato e continuano a mostrare forti limiti nel garantire la costruzione di una vera cittadinanza scientifica, che significa garantire la libertà di ricerca e il libero accesso al sapere, sostenere la scienza e le sue necessità, garantire un lavoro dignitoso e una giustizia sociale, stimolare il pensiero critico, legiferare e amministrare la cosa pubblica non solo con disciplina e onore, ma anche con competenza e atteggiamento non pregiudizievole.
Una democrazia matura deve saper promuovere la cultura e la scienza a tutela di tutti, soprattutto degli adolescenti e dei giovani che hanno assoluto bisogno di testimoni credibili e affidabili, soprattutto nel nostro tempo che rischia di essere “liquefatto”, poco definito e “relazionalmente fragile”; significa anche trasmissione sapiente alle giovani generazioni dei valori, delle responsabilità, dei confini e dell’autorevolezza propri di chi intenzionalmente vuole lasciare e non trattenere saperi egocentrici/autoreferenziali, ma che sente che i propri saperi sono e devono essere al servizio degli altri, in particolare di chi sta costruendo il suo futuro identitario.
Il potere della cittadinanza scientifica nella promozione di una democrazia matura è molto ben esplicitato nell’opera monumentale e pionieristica dell’Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, curata da Denis Diderot e Jean D’Alembert nel 1751, in cui si dichiara che un popolo non può definirsi veramente libero e non può aspirare al progresso se gli è negato il libero accesso alle fonti del sapere scientifico e tecnico. Non a caso, nel 1752 un Decreto regio ne censurava i primi due volumi, nel 1759 il Consiglio di Stato revocava la licenza alla stampa e papa Clemente VIII ne proibiva l’acquisto e scomunicava i fedeli che ne avessero conservato copie.
Quest’opera ha forse ispirato anche i padri costituenti della Repubblica Italiana che hanno voluto affermare la “potenza democratica” della cultura e della ricerca scientifica codificandola negli articoli 9 e 33 della Costituzione della Repubblica Italiana: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica” (art. 9); L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” (art. 33).
Capita invece di assistere a continui “infarti democratici”; questo accade quando il potere dell’educazione, della cultura, del progresso scientifico spaventa i governanti e decisori politici e pertanto viene “violentemente” osteggiato.
È quello che sta succedendo in quella che si pensava fosse la fortezza della democrazia: gli Stati Uniti d’America.
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, subito dopo il suo insediamento alla Casa Bianca il 20 gennaio 2025, ha firmato una serie di ordini esecutivi rivolti alle principali agenzie scientifiche del Paese per sospendere le loro normali attività ed occuparsi di compiti che sono un vero annientamento alla cittadinanza scientifica: blocco di nuovi finanziamenti, revisione di quelli già approvati, ritiro di articoli scientifici in fase di pubblicazione, rimozione dalle pubblicazioni scientifiche di termini ritenuti sgraditi alla linea politica del governo, tra cui la diversità di genere e l’inclusione. Allo stesso tempo, Trump ha firmato un ordine esecutivo per l’uscita degli Stati Uniti dall’OMS. In Italia, il partito politico della Lega, ha annunciato un disegno di legge per abrogare l’adesione dell’Italia all’OMS; se questo dovesse accadere, il rischio sarebbe di avere conseguenze impattanti sulla salute dei cittadini in quanto si determinerebbe la perdita di accesso a dati sanitari globali, alla sorveglianza delle malattie e alle risorse condivise per sviluppare, come accaduto con la Covid-19, vaccini e terapie. Donald Trump ha preso di mira anche gli sforzi per rendere la scienza più inclusiva, in particolare sulle questioni di genere e disabilità. Gli scienziati finanziati dal Governo Federale sono stati obbligati, per direttiva politica, a eliminare qualsiasi termine associato a quella che una parte del Partito Repubblicano definisce “ideologia di genere”.
C’è probabilmente una strategia politica in quello che sta facendo Trump e molti politici che lo seguono, anche in casa nostra: silenziare chi produce cultura e chi promuove una cittadinanza scientifica per avere meglio il controllo su tutto.
Malala Yousafzai, la coraggiosa ragazza Pachistana, premio Nobel per la pace, a cui non solo è stato negato il diritto allo studio, ma è stata anche gravemente ferita nel 2012 dai talebani per la sua attività a favore dell’istruzione delle bambine, nel suo discorso alle nazioni unite (ONU) afferma: “abbiamo capito l’importanza delle penne e dei libri quando abbiamo visto le armi. Il saggio proverbio la penna è più potente della spada dice la verità. Gli estremisti hanno paura dei libri e delle penne. Il potere dell’educazione li spaventa.”
Siamo ora arrivati a constatare che a sparare non sono solo gli estremisti, ma una popolazione di giovani con situazioni familiari complicate, incapaci di relazioni sociali, emarginati da una scuola incapace di educare e quindi si alimentano frustrazioni, fallimenti e fragilità psicologiche.
Prima si andava scuola con i libri e le penne, ora con le armi; ed è significativo come la risposta all’ennesima strage di studenti in una scuola americana sia stata non quella di trovare soluzioni che potessero migliorare l’educazione scolastica, la salute psicofisica, culturale, emotiva, sociale degli studenti, ma approvare una legge per permettere agli insegnanti delle scuole pubbliche primarie e secondarie e al personale scolastico di portare un’arma a scuola. Della serie: occhio per occhio, dente per dente!
Prima le scuole erano luoghi di formazione e di educazione civica, ora sono diventate delle aziende; prima si aveva a cuore la formazione rigorosa dei discenti, ora questi ultimi sono diventati dei clienti. Questo ha minato profondamente il senso, il significato e il valore di società della conoscenza e cittadinanza scientifica, annientando il pensiero critico e la consapevolezza dei propri diritti. Si finisce così per essere soggiogati dal potente di turno: un vero furto di democrazia.
Enrico Berlinguer, in un accorato discorso tenuto a Milano nell’aprile 1982 “I giovani alle prese con le sfide del Duemila”, disse: “Le conoscenze scientifiche e tecniche, possono permettere il passaggio dalla condizione di necessità a quella della libertà”.
La scienza, e il suo metodo, aiutano a garantire forme mature di democrazia in quanto la scienza è libera da ogni giogo di autorità, “sintesi di esperienza e ragione, acquisizione di conoscenze verificabili e da discutere pubblicamente”.
La scarsa considerazione che la nostra classe politica e in particolare quella più recente riserva all’istruzione, all’università e alla ricerca, come affermava la scienziata Margherita Hack, è la conseguenza del basso livello culturale della gran maggioranza degli eletti in Parlamento.
Bisogna ritornare a favorire il pensiero razionale e il metodo scientifico. Bisogna recuperare, soprattutto nelle nuove generazioni, l’interesse verso la conoscenza scientifica, nel quadro più generale dell’universalità della cultura; facilitare esperienze che abbiano sia un valore formativo e educativo, sia un valore comunicativo; garantire spazi di confronto e di condivisione; condivisione di idee, condivisione di quella sete di conoscenza che rende possibile non solo il progresso del sapere, ma anche il progresso sociale, politico, economico e culturale di un paese. In altre parole: Democrazia.
bello e articolato. Occorre fare circolare questo scritto dove è possibile; sono in gioco le nostre sorti democratiche