Caro direttore,

Non era mai successo prima di ora nelle umane vicende che si potesse partecipare ad un conflitto di proporzioni globali, stando comodamente a casa sprofondati nel proprio divano, senza correre alcun rischio di essere sorpresi dal fuoco nemico.

Eppure, paradossalmente, in questa situazione causata della pandemia di Covid19 ciascuno di noi dispone del massimo potere offensivo. Approfittiamone dunque e, mettendo da parte ansie, angosce e depressione, prepariamoci a combattere quella che potrebbe essere l’ultima battaglia utile per salvaguardare il genere umano dalla corsa irrefrenabile all’autodistruzione.

Il terreno su cui si gioca questo scontro definitivo – come appare evidente dal titolo – è la rete, dove ciascuno di noi con un semplice click può contribuire a creare una forza d’urto notevole in virtù di un’opinione pubblica informata, consapevole e responsabile che induca le classi dirigenti a prendere decisioni adeguate alla drammaticità della situazione.

Si è tanto parlato in questi giorni sui media e sui social di questa sciagurata pandemia eppure in questo assordante e ossessivo turbinio di numeri, di spettacolarizzazione della sofferenza, di irrispettosa invadenza nelle disgrazie altrui, di indegna sobillazione dell’angoscia, del senso di impotenza e della frustrazione di massa, mai prima di ora si era riusciti a nascondere con così accurata efficacia la verità su un fenomeno così tragico. In altri termini, stiamo assistendo ad una proditoria, sistematica operazione di distrazione di massa o, se preferite, di rimozione collettiva. Eppure non mancano in rete documenti scientificamente validi che analizzano in profondità il fenomeno che stiamo vivendo.

Per chi volesse documentarsi, ad esempio, è sufficiente digitare sul motore di ricerca “WWF e pandemia” per trovare numerosi link dal titolo esplicito “Pandemia e distruzione degli ecosistemi”, “Lo Spillover alla sorgente dei nuovi virus”, “Perdita della Biodiversità”. In televisione, tranne qualche fugace riferimento in qualche intervista ad Ilaria Capua, soltanto domenica sera, 30 marzo, è apparso finalmente su Rai 3 un interessante servizio nella trasmissione “Indovina che viene a cena” – che si può recuperare su Raiplay o su Facebook, dove finalmente si evidenzia la correlazione tra i guasti prodotti dall’uomo  nell’ecosistema e l’insorgenza sempre più frequente di epidemie.

Eppure il mondo scientifico aveva già preannunciato questa eventualità; c’era stato persino un convegno in ottobre a New York sul pericolo di una epidemia da coronavirus, ma nulla è stato fatto a livello di prevenzione, tutto è passato sotto silenzio. Si è solo preso atto che non si era preparati. Ed ora, a contagio avvenuto, tutto lascia ritenere che si intenda intervenire sugli effetti – con il vaccino o con gli antivirali (speriamo al più presto) – senza che nulla si faccia per rimuovere le cause e vi sono molte probabilità che altre pandemie intervengano nel breve periodo.

Recuperare il nesso di causalità tra squilibrio nell’ecosistema e pandemie significa rimettere al centro del discorso il tema della salvaguardia dell’ambiente, aprendo così notevoli spazi di contrasto efficace e di intervento politico.

Si apprende sulla stampa che la Cina ha già preannunciato che, una volta superata l’epidemia, per rilanciare l’economia derogherà alle norme sulla tutela dell’ambiente. Se così fosse e, se questa impostazione fosse condivisa da altri paesi, si tratterebbe in realtà di una brusca accelerata verso l’autodistruzione dell’umanità, l’inizio di quel processo irreversibile che gli scienziati dell’Onu prevedono per il 2030 se non si assumono provvedimenti urgenti e radicali che modifichino in profondità il nostro modo di produrre e di vivere.

Porre la questione ambientale come centrale,  ci permette di pensare il tema della cosiddetta “ripartenza” in termini di ”riconversione”, di un New Green Deal. Ma vi sarebbe un altro vantaggio connesso a questa proposta:  il tema ambientale, a differenza di altre questioni, come per esempio quelle etiche, tende a unificare l’opinione pubblica piuttosto che a dividerla in posizioni contrapposte (con buona pace di Trump). Non è un caso che i Verdi tedeschi a differenza della signora Merkel si siano pronunciati a favore di una solidarietà tra i paesi europei. Ci sarebbero quindi “orecchie sensibili” proprio in quei paesi, come l’Austria, l’Olanda, la Svezia, la Germania, cosiddetti virtuosi, che potrebbero fare pressione sulle loro classi dirigenti.

In questo senso allora ritengo che il nostro paese potrebbe riconquistare in Europa un ruolo egemonico, di accelerazione di un processo di riconversione dell’economia, ora che il Patto di Stabilità mostra la corda e, con buona pace della Signora Merkel e dei paesi del Nord, paradiso fiscale delle multinazionali, bisognerà comunque, in un modo o nell’altro, inondare il mercato di liquidità. La tabella di marcia del Green Deal che l’Unione europea ha approntato deve essere decisamente accelerata. Non abbiamo più tempo: lo ha sottolineato a Madrid a dicembre scorso Gutierrez nell’ultimo inconcludente summit dell’Onu sul clima, per non parlare del grido d’allarme lanciato da papa Francesco con l’Enciclica “Laudati si’”.

Tuttavia per riaprire il dibattito sulla questione ambientale, a mio parere, si rende necessario un gesto clamoroso, un segnale forte da parte dell’Italia: si potrebbe procedere, ad esempio, ad una modifica della Costituzione in senso ambientalista,  inserendo  nell’art.1 o nell’art. 3 della Costituzione un riferimento alla salvaguardia dell’ecosistema come scopo della Repubblica. Su questa modifica si potrebbe chiedere in prima lettura a tutte le forze politiche un voto, preferibilmente all’unanimità. Già in ottobre ad Assisi il Presidente Conte aveva ancora una volta ribadito l’intenzione di inserire la tutela dell’ecosistema in Costituzione, attraverso la modifica dell’articolo 9 ed in Commissione Affari costituzionali sono in discussione a tutt’oggi due progetti di legge di revisione.  Ed allora si colga l’occasione per accelerare questo iter.

In tal senso l’Italia non si presenterebbe più nel contesto internazionale elemosinando solidarietà, ma richiedendo una convergenza su una prospettiva di riconversione che riguarda tutti i paesi europei e del mondo. Gli strumenti utili per avviare questo progetto dovremmo allora chiamarli, tanto per essere chiari sugli scopi, “riconversionebond”.

Mobilitiamoci dunque con la forza che ci deriva da una corretta informazione, per affrontare questa durissima battaglia. Assumiamoci, nel nostro piccolo, le nostre responsabilità. Diffondiamo questo Manifesto a tutti i nostri contatti. Basta un click!

Marcello Ruggieri


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