“La musica e la danza mi fanno sentire in pace con il Mondo e con me stesso”
A pronunciare queste parole, nel 1999, in Germania, fu Nelson Mandela, ballerino per una notte sulle note di ”Asimbonanga”, canzone scritta ed interpretata da Johnny Clegg, un inno anti-apartheid in lingua zulu, la voce affranta di un popolo che si sentiva costretto a vivere dentro mura impregnate di odio e discriminazione razziale, una millantata superiorità della pelle bianca sulle minoranze di un continente nero, sporcato da ingiustizie e soprusi. ”Asimbonanga”, ovvero ”Non l’abbiamo mai visto”, in riferimento all’epoca in cui il regime vietava di esporre in pubblico le immagini di Madiba.
La commozione di Clegg, quella notte, travalicò le barriere della disumanità, aprendo il cuore a spettatori attoniti di fronte a cotanta speranza. Johnny Clegg sarebbe scomparso vent’anni più tardi, dopo una battaglia contro il cancro al pancreas. Inglese di nascita, si è trasferito, sin da bambino, in Sudafrica, vivendo fra Zambia e Zimbabwe, prima di trasferirsi definitivamente a Johannesburg ed essere soprannominato “lo zulu bianco” per la sua capacità empatica di indirizzare un ideale verso forme di giustizia che ammiccavano al multiculturalismo, diventando, a pieno titolo, l’emblema di una resistenza senza precedenti in ambito musicale, una lotta all’apartheid combattuta mescolando le influenze del pop britannico degli Anni Ottanta alle tradizionali armonie zulu.
Antropologo dello strumento, Johnny Clegg è riuscito laddove altri hanno fallito, preservando la propria identità musicale per comunicare il disagio di gente fiera e vitale, uno stile che ha risvegliato la consapevolezza dell’Africa più vera, sfidando il Group Areas Act, una legge che difendeva le segregazioni di lavoratori migranti, dividendo le città per zone e razze. Un po’ come quello che sarebbe successo, in seguito, con Eminem, anche Johnny Clegg fu uno dei primi bianchi ad essere accettato dalla comunità nera anche grazie a hit composte con i gruppi “Juluka” e “Savuka”, un meltin’ pot di rabbia ed eguaglianza sociale raccontate da spartiti, ricevuti in eredità dalla cultura celtica, a cui sentiva di appartenere, e combinati con il ”mbaqanga”, mainstream che agglomerava soul, r’n’b, jazz e gospel.
Johnny Clegg parlava ad ogni persona con la semplicità e l’umiltà dei grandi, rendendo eterno ed infinito l’universo musicale contemporaneo, facendoci sentire in pace con il Mondo e con noi stessi.