«La frode, ond’ogne coscienza è morsa, 
può l’omo usare in colui che ’n lui fida 
e in quel che fidanza non imborsa»

(Inferno, XI, vv.52-54)

Il viaggio di Dante nella città di Dite sembra non aver mai fine e Virgilio pensa bene di concedere, a lui e a noi, una pausa.

L’occasione prossima è un lezzo che sale dall’argine del settimo cerchio dove i due sono diretti. Virgilio si rivolge all’allievo e gli consiglia di sostare un poco in attesa che le loro narici si abituino al fetore:

«Lo nostro scender conviene esser tardo,
sì che s’ausi un poco in prima il senso
al tristo fiato; e poi no i fia riguardo».

(Inferno, XI, vv.10-12).

I due si ritirano presso la tomba di un papa, Anastasio II: ormai non dovrebbe più sorprenderci la facilità con cui Dante spedisce papi e cardinali all’Inferno. Qui Dante chiede al maestro di approfittare di quel tempo per una sorta di “lezione di recupero”, ha dei dubbi da sottoporgli e le sue domande spingono Virgilio a illustrarci quella che potremmo definire la topografia morale del regno di Lucifero.

Scopriamo così che, scendendo oltre la città di Dite, i due viaggiatori sono attesi da tre cerchi, dove incontreranno i dannati per peccati di malizia. Questa può essere perpetrata con la violenza o con la frode. Nel settimo cerchio troveranno dunque i violenti, distribuiti in tre gironi, a seconda che la violenza sia stata consumata contro il prossimo, contro se stessi o contro Dio.

Una sorte peggiore è destinata ai fraudolenti, ma con una distinzione: meno grave la responsabilità di chi froda quanti non si fidano, più dura la condizione di chi froda coloro a cui sono legati da vincoli di fiducia e affetto. I primi sono nell’ottavo cerchio, i secondi nel nono cerchio, l’ultimo, il più basso, il più vicino a Satana.

Caro lettore, adorata lettrice,

ho ridotto il più possibile la sintesi del canto per soffermarmi proprio su queste parole:

«La frode, ond’ogne coscienza è morsa,
può l’omo usare in colui che ’n lui fida…».

Lo senti il gelo? Senti la divisione che deve penetrare nel cuore di ogni uomo che si rende artefice di malafede? Dante scrive che nessuna coscienza può sfuggire al rimorso quando tradisce sia chi si fida che chi non si fida, ma di certo approfittare della fiducia di chi ci ama e confida in noi deve scatenare un “morso” difficile da rimuovere. È più una morsa di ghiaccio, che abbranca il cuore e non lo lascia, quali che siano le apparenze. Si può avere successo, essere vincenti, sedotti e seduttori, corteggiatori di successo e uomini e donne al top della carriera: ma se hai sacrificato Abele o Penelope alla tua ambizione e alle tue passioni non potrai dimenticarlo.

Che mistero il cuore dell’uomo! Quante volte avremmo la felicità a portata di mano, ma ci illudiamo di poter desiderare di più e ancora di più. E così frodiamo: noi stessi, ovviamente, molto più che gli altri. Noi stessi primache gli altri. E ci spediamo all’inferno: quello qui sulla terra, quello creato da noi stessi, quello di cui, di sicuro, non si può dubitare.

George Bernard Shaw: «Il vero castigo per chi mente non è di non essere più creduto, ma di non potere credere a nessuno». E, di contro, François de La Rochefoucauld «È più vergognoso non fidarsi dei propri amici che esserne ingannati».

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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...