Si devono compiere scelte ogni giorno, sia per vivere sia per essere sicuri di essere vivi
Nell’articolo precedente si parlava di soglia come spazio di conciliazione di cose diverse, opposte, quali il passato e il presente, il rimpianto e il progetto, la paura e la speranza. Se ne parlava a proposito dell’ingresso di un nuovo anno, porta ormai varcata da qualche giorno…ma in realtà è un’immagine troppo bella e profonda perché la si utilizzi solo in un’occasione.
E così si potrebbe dire che la soglia è una splendida metafora di vita, o meglio è proprio un modo di viverla appieno.
Si potrebbe obiettare una cosa: stare sulla soglia, sull’uscio delle cose è comodo. È la via di mezzo che tutela dal prendere decisioni; è la tiepidezza che si adatta a tutto e a tutti senza mai esporsi; è il luogo dell’eterno “possibile”, dove tutto diventa sperimentabile e dove nulla è assunto per davvero e trattato con responsabilità. Ecco, non si parla di questo, assolutamente.
Un tale approccio alla vita non rende giustizia dell’importanza delle scelte e della bellezza della responsabilità; ad esso va sempre fatta una controproposta esistenziale più fruttuosa. Questa però non può consistere in un approccio alla vita totalmente opposto, dai toni netti: o dentro o fuori, o bianco o nero. Perché così si perdono le sfumature e le scelte diventano traduzioni meccaniche di una mentalità chiusa, attenta ai confini più che agli spazi, ai risultati più che ai processi.
L’errore di questi due differenti modi di vivere è comune: si chiama riduzione della complessità. Chi adotta la soglia come posto comodo per limitarsi ad esistere, ha paura della complessità nel senso che teme il groviglio dei problemi quotidiani e delle relazioni, le implicazioni delle scelte e delle prese di posizione, i paradossi delle situazioni che si nutrono, strutturalmente, di opposti. Così chi va per categorie chiuse, nette, pretende di chiudere la complessità in esse, per gestirla, addomesticarla, convincersi addirittura della sua inesistenza.
In entrambi i casi bisogna tornare alla soglia nel suo senso più autentico.
Sulla soglia si chiede permesso, ci si saluta, ci si accoglie, ci si abbraccia, ci si ama. Anche se si è diversi. Sulla soglia si sente la corrente di venti che si incrociano e si mescolano. Sulla soglia interno ed esterno si parlano, si raccontano, si confortano. Sulla soglia la complessità è un obbligo, un dovere, una necessità, ma anche una possibilità per vivere pienamente.
Si devono compiere scelte ogni giorno, sia per vivere sia per essere sicuri di essere vivi. Si devono prendere posizioni ben determinate per capire chi siamo e chi sono gli altri. Questo non impedisce di custodire le sfumature, le possibilità infinite racchiuse in un gesto e in una parola, o quelle che potrebbero ancora dischiudersi a nostra insaputa, al di fuori dei nostri calcoli.
Le cose non sono mai bianche o nere, nettamente distinte. La vita è molto più complessa di quanto si pensi e le strategie quotidiane di semplificazione si rivelano spesso fallimentari perché mirano ad eliminare la complessità. Spesso si interviene sul numero di cose da fare (ed è importante, ci mancherebbe!), eppure ci si sente insoddisfatti comunque. No, non basta questa selezione per trovare serenità, perché a sera ci si ritrova davanti l’ombra spaventosa della complessità la quale, pur con tutti gli sforzi e le lotte, non è venuta meno.
Il segreto è, invece, accogliere la complessità come struttura fondamentale dell’esistenza stessa, di noi, degli altri: è una necessità, la stessa di una sinfonia, di uno spartito che tiene, deve tenere insieme note infinite e diversissime. Ma è anche una possibilità, ci permette di coltivare e raccogliere ricchezza. Sapere e accettare che l’altro non è interpretabile alla luce di una sola categoria e che le situazioni assomigliano non a superfici lisce e omogenee, piuttosto a poliedri con facce distinte, eppure tenute insieme, ci protegge da semplificazioni indegne dell’uomo.
Per cui non si tratta di mera organizzazione: quella ovviamente è importante, è essenziale; affidarsi all’estemporaneità continua è controproducente per altri versi. Qui si parla di un atteggiamento interiore di stupore di fronte alla pluralità della realtà, per imparare ad accoglierla, abdicando alla pretesa di controllarla o rigettarla del tutto.
Occorre dunque mantenere il cuore sulla soglia, luogo della complessità come necessità che si fa possibilità. É la storia dell’incarnazione: Dio assumendo la carne, il limite umano, si fa soglia, mette in comunicazione umanità e divinità, finito ed infinito. Per questo si può dire che Gesù Cristo, Dio e uomo, abbia assunto la complessità nella sua persona, l’abbia vissuta e, perciò, resa vivibile.
E allora:
“Offri sempre la tua bellezza in dono
senza né calcolare né parlare.
Tu taci. Lei dice per te: io sono.
E giunge in migliaia di significati,
giunge infine su ognuno” (R. M. Rilke).
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