Il dialogo Occidente-Oriente di per sé richiede un habitus mentale da pensiero complesso
In un momento come quello attuale dove problemi globali come quelli che investono sempre di più le ‘totalità viventi’, a dirla con Michel Serres, e che richiedono approcci integrali e pluriarticolati nel senso di Edgar Morin, poi diventati non a caso cardini di una enciclica come la Laudato sì, insieme a soluzioni in senso cosmopolitico come ha ben evidenziato Mauro Ceruti negli ultimi suoi scritti, potrebbe essere utile una maggiore conoscenza di figure che, vivendo nei paesi dell’Est nel secolo scorso, hanno vissuto il dramma della separazione tra Occidente ed Oriente slavo, vista come vera e propria frattura se non addirittura mutilazione dello stesso spirito europeo e della ragione tout court; tali figure, pur essendo figlie e fedeli interpreti della spiritualità di questa parte importante del nostro continente, ci hanno dato degli strumenti in grado di costruire dei proficui ponti tra due mondi che le contingenze politiche hanno portato ad escludersi a vicenda quasi come portatori di Weltanschauungen radicalmente incompatibili. Non è dunque un caso che ultimamente da più parti si sente il bisogno di una maggiore conoscenza del pensiero slavo-orientale nelle sue diverse articolazioni, da quello più propriamente filosofico-scientifico a quello teologico; e gli studi recenti, a partire da quelli di Silvano Tagliagambe, Lubomir Zak e Natalino Valentini sulla singolare figura di Pavel Florenskij profondamente russa e nello stesso tempo di netto respiro europeo, ne stanno mettendo in evidenza la profondità e l’originalità a lungo tempo negate. Ed è da rammaricarsi del fatto che questa non adeguata attenzione ha non solo impedito il dialogo tra i due mondi, ma ha impoverito la stessa storia del pensiero dell’intero Novecento che dal loro incontro-scontro avrebbe sicuramente beneficiato traendone non secondarie indicazioni in senso antiriduzionistico.
All’interno di tale crescente interesse, non solo teorico, per il mondo slavo-orientale e per quelle figure che si sono impegnate nel superamento di questa divisione, si segnala la recente attenzione verso il teologo e filosofo ceco, che è stato docente presso il Pontificio Istituto Orientale e poi cardinale , Tomáš Špidlík (1919-2010), nel volume di un giovane professore presso lo stesso Istituto Antonino Pileri Bruno, Persona cuore cosmo. L’identità cristiana dell’Oriente slavo nell’opera di Tomáš Špidlík (Città Nuova, Roma 2016); in questo lavoro come in altri studi successivi, viene dato il giusto risalto al percorso di tale figura indirizzato sin dall’inizio alla ‘ricerca di vincoli d’unità tra spiritualità orientale e spiritualità occidentale, tra Russia ed Europa’ col sottolineare che esso è frutto del tentativo di superare quelle ‘lacerazioni’ provocate dalla ‘separazione tra Oriente e Occidente’. Ma tale esito Pileri Bruno lo analizza all’interno di un problema più vasto quello relativo alla ‘drammatica separazione tra fede e ragione a cui è giunto il pensiero teologico’, che ha pesato molto nel mondo contemporaneo e soprattutto in quello occidentale e non solo nel mondo della Chiesa, tale da essere alla base di quella nuova grandiosa sintesi tentata da Teilhard de Chardin proprio con l’obiettivo di far dialogare in maniera costruttiva scienza e fede, dopo la moderna lacerazione provocata dal ‘Caso Galileo’, obiettivo stesso divenuto di natura pastorale nel pontificato di Giovanni Paolo II.
Anche il gesuita Špidlík per Pileri Bruno muove da questo cruciale problema, ma lo ha potenziato sin dall’inizio dall’apporto decisivo del pensiero russo e di quello di Florenskij in particolar modo; e tutto il suo percorso pur essenzialmente teologico, non può non interessare anche il mondo dei non credenti perché è teso strutturalmente al ‘dialogo tra Oriente ed Occidente’ e soprattutto alla ‘ricerca dell’unità spirituale europea’ titolo dato ad un suo importante articolo apparso nel 2004, e delle stesse ‘fonti dell’Europa. In principio era l’arte’ come viene evidenziato nella raccolta di scritti dedicati a tale aspetto. Alla luce di tale obiettivo tutti i suoi sforzi vengono ritenuti ruotare nel vedere ‘il valore intrinseco dell’apporto slavo al pensiero europeo’ e per questo vengono analizzati in particolar modo i numerosi scritti del teologo-filosofo ceco dedicati alla spiritualità russa e all’antropologia orientale a partire dalla tesi di dottorato, fatta in francese come altri scritti di natura scientifica, sul riformatore monastico russo Joseph Volokolamsk sino a monografie su Basilio il Grande, Gregorio di Nazianzo e sulla ‘teologia del cuore’ di Teofane il Recluso, opera del 1965 ritenuta da Pileri Bruno strategica per la ‘svolta’ impressa al suo percorso e che ebbe qualche difficoltà per il suo presunto ‘sentimentalismo’ ed il ‘sospetto di modernismo’, poi venuto meno in seguito al Concilio Vaticano II.
Non a caso, partendo da quest’opera del 1965, Špidlík sviluppa quella che chiama ‘cardiognosia’, a base dell’articolata analisi di Pileri Bruno, poi proseguita in altri scritti, che ne segue le diverse tappe sino a considerarla il perno di tutto il suo discorso nelle diverse articolazioni tra ‘persona, cuore e cosmo’; ma la principale fonte viene intravista nell’esperienza umana e concettuale di Florenskij dove il cuore è il luogo o simbolodove ‘si incontrano trascendenza e immanenza’, dove queste dimensioni come altre soggetto ed oggetto ad esempio, ‘entrano in dialettica’ tra di loro ‘scambiandosi le rispettive prerogative’. Questo continuo scambio che Pileri Bruno chiama ‘ermeneutica sinfonica’ conduce alla ‘vera conoscenza attraverso il cuore’, che secondo Špidlík ha fatto parte della ‘tradizione indivisa tra Oriente ed Occidente’ e che poi, per la sopravvenuta ‘idolatria dei concetti’ , è venuta meno ed in tal modo l’Occidente ‘da solo’ e l’Oriente ‘da solo’ hanno portato a comprensioni parziali chiudendosi rispettivamente in un rigido razionalismo ad una dimensione col sottovalutare il problema del senso della realtà ed in un vago misticismo senza conoscenza.
Nelle opere come L’idea Russa e Una conoscenza integrale. La via del simbolo vengono ridisegnati dei percorsi dove l’idea di verità non ridotta al puro aspetto formale riacquista una sua dignità anche grazie alla considerazione delle fini analisi di natura filologica fatte da Florenskij su come essa è stata declinata nelle varie tradizioni di pensiero da quello greco a quello russo, dove non è mai scissa dal concreto vivente che va colto, come dirà Simone Weil in ambito francese quasi con le stesse parole, con ‘le ragioni del cuore’ che trova nella persona il suo momento relazionale dove la ‘giusta relazione è la verità’, mentre quella falsa è ‘menzogna’; per questo Pileri Bruno sottolinea l’importanza accordata da Špidlík, come nel pensiero slavo ed in primis dallo stesso Florenskij, alla riflessione epistemologica considerata nelle Facoltà Teologiche orientali la ratiostessa dell’insegnamento a partire da quello teologico. Questo tipo di analisi permette di capire che nel termine russo istina(verità) è implicito, fatto che spesso si dimentica da chi proviene da un habitus mentale troppo legato alla pura astrazione, ‘anche ciò che si respira’ e conoscere l’istina, sottolinea Pileri Bruno, è ‘entrare in relazione con la verità viva’ e farne soprattutto esperienza; per questo Špidlík, facendo sue alcune indicazioni tipiche del pensiero anche letterario russo, afferma che la tensione verso la verità è sempre ‘tensione personale’.
Ma un altro elemento non secondario riscontrabile nel pensiero slavo più in generale e nel percorso di Špidlík in particolare per Pileri Bruno è l’attenzione ad una visione d’insieme; e anzi si ritiene che la filosofia russa nel suo complesso ha sempre messo in guardia da quei tentativi di ridurre l’intelligere alla pura astrazione, alla divisione e al frazionamento del sapere che ‘muta l’universitas sapientiae in politecnici’, in saperi cioè finalizzati solo alle esigenze dell’homo faber, e che fa venir meno l’idea ‘dell’unità integrale della persona e delle sue capacità epistemologiche’ . Inoltre si sottolinea che per il pensiero russo il venir meno dell’idea di insieme è un ‘vulnusletale’ che impoverisce la conoscenza sapienziale e relazionale e porta alla ‘caduta del senso stesso dell’intelligenza del cuore’ sino a generare un ‘uomo fragile e vulnerabile’; e la cardiognosia può essere uno dei tanti rimedi razionali nel senso propostoci da Hélène Metzger contro tali fragilità insieme teorico-esistenziali.
Il percorso filosofico-teologico di Špidlík e le acute riflessioni sul suo pensiero da parte di Antonino Pileri Bruno ci danno anche l’occasione per riflettere su un fatto che lo stesso dialogo Occidente-Oriente di per sé richiede un habitus mentale da pensiero complesso, cioè più criticamente attrezzato, sia perché esso per sua natura non tende a separare e frazionare e quindi ad assolutizzare; nello stesso tempo esso pensiero complesso, per la sua intrinseca capacità cosmopolitica, getta non solo euristicamente dei ponti tra tradizioni diverse e viene a formarsi programmaticamente tra diverse interfacce, per usare delle recenti espressioni di Silvano Tagliagambe e Alessandro Giuliani, che non a caso si sono abbeverati alle fonti, nel senso proprio di Špidlík, sia di Florenskij che di certe acquisizioni raggiunte dal pensiero scientifico una volta liberatosi dal pensiero nomotetico.