
La Dirigente Generale di Pubblica Sicurezza dr.ssa Isabella Fusiello: «Non c’è mai stato un momento in cui ho sentito la necessità di gettare la spugna»
Nata ad Andria, laureatasi a Bari, i suoi sempre più prestigiosi incarichi l’hanno vista a Nuoro, Bologna, Roma, Imola, Cuneo, Ferrara, Reggio Emilia, Trieste, Potenza e ora Padova: una vita itinerante, dott.ssa Fusiello, si potrebbe parlare di una laica missione sociale?
Sono nell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza dal 3 marzo 1986 in quanto vincitrice di concorso pubblico per Vice commissario della Pubblica Sicurezza e, dopo aver frequentato il corso della durata di 9 mesi, sono stata assegnata alla Scuola di Polizia C.A.I.P. di Abbassanta (Or) e, successivamente alla questura di Nuoro e così via per le sedi da Lei indicate in premessa.
Mi chiede se il mio lavoro è una missione sociale. Sicuramente. Il mio lavoro si estrinseca sul territorio e solo per citare qualche attività come quella di prevenzione e di controllo nonché il contrasto dei reati c.d. della criminalità diffusa. Inoltre, il mio lavoro consiste anche nell’erogare servizi di cui si parla poco, quali i provvedimenti autorizzatori (licenze di polizia in materia di armi) e soccorso pubblico ogni qualvolta il cittadino chiama il 113. Ma l’attività alla quale tengo molto – ed è un modo diverso di declinare il significato di sicurezza – è l’attività di prevenzione e il mio motto è: prevenire il male è meglio che curarlo.
Ora sono il Questore della provincia di Padova, città del Santo, città dove le Istituzioni locali si sono dotate di servizi eccellenti per i loro cittadini e dove la sanità è al primo posto nella sensibilità degli stessi Amministratori. Quindi, il mio sforzo, insieme al personale della polizia di Stato, è quello di porre il bene SICUREZZA sugli stessi standard della sanità.
Non è mai facile conciliare affetti e lavoro, tanto più se si è un Dirigente Generale di Pubblica Sicurezza: lo è ancor di più per una donna?
Sicuramente il sacrificio a cui sono andata incontro è stato notevole, ma è stato ricompensato dalla carriera. Ho raggiunto l’apice nell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza, ed essere stata nominata, su proposta del Capo della Polizia Prefetto Franco Gabrielli, Dirigente Generale, penso che mi ripaghi di tutte le ansie, sacrifici e rinunce fatte nel tempo. È impegnativo in un ambiente nato al maschile, dove le donne devono faticare di più per mettersi in luce e devono sempre dare un po’ di più degli altri per essere apprezzate, per noi è necessario un sovrappiù di tenacia. Ecco, se dovessi definire una qualità delle donne in Polizia, è che sono tenaci.
Tra i suoi primi incarichi c’è stato quello presso la Divisione Anticrimine – Sezione Misure di Prevenzione: quanto la sua esperienza è servita a farle maturare l’idea che la prevenzione abbia un’efficacia ben più grande che la repressione?
Ho sempre sostenuto che l’attività di prevenzione e controllo del territorio è la più efficace e porta anche risultati ottimi a “casa”. Tra le attività di prevenzione da menzionare ci sono le misure di prevenzione patrimoniali che svolgono la funzione di aggredire il patrimonio illecito di cui si avvalgono le organizzazioni ed i soggetti criminali di ogni tipo per implementare le loro risorse economico-finanziarie e umane. La sottrazione dei beni illeciti alle organizzazioni criminali, includendo anche quella vasta gamma di beni nei quali i capitali illeciti vengono reinvestiti, è pertanto un fattore imprescindibile per un’efficace strategia di contrasto al crimine organizzato, attraverso la duplice funzione di limitare la capacità operativa del gruppo criminale e di minarne il prestigio ed il controllo territoriale. Tutto ciò è stato possibile grazie alla legge 109/96 relativa al riutilizzo dei beni confiscati alla criminalità organizzata che rappresenta una svolta fondamentale nel contrasto alle mafie. Si tratta dello strumento più avanzato in campo culturale, sociale ed economico, che consente la restituzione alla collettività dei patrimoni accumulati illecitamente e l’erosione del consenso sociale di cui spesso godono i gruppi criminali nel proprio territorio di influenza. Infatti, se l’azione repressiva della magistratura punta ad indebolire la criminalità organizzata attraverso la sottrazione delle ricchezze accumulate, l’azione costruttiva delle istituzioni punta a minare il consenso ed il potere di controllo del territorio attraverso il riutilizzo dei beni con finalità sociali. Tale strumento contiene pertanto anche un elevato valore simbolico di “restituzione alla collettività. Con la sottrazione dei beni immobili e beni mobili attraverso il sequestro e la successiva confisca dell’immane quantità di denaro liquido di cui le organizzazioni criminali dispongono, si mette in atto una strategia straordinaria perché toglie linfa vitale per il loro controllo del territorio. Questa esperienza è stata da me attuata a Reggio Emilia, come Questore di quel territorio, dove sono stati sequestrati e confiscati alla cosca crotonese “Grande Aracri” e consegnati ad associazioni che operano nel sociale. Stessa strategia ho ritenuto di attuare nella Provincia BAT (Barletta Andria Trani) procedendo a richiedere all’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati un immobile da destinare al personale della Polizia di Stato in vista dell’apertura della nuova Questura.
A questo proposito, mi preme evidenziare il particolare periodo di crisi che sta vivendo il nostro Paese e la mia città sicuramente non è esente da tale fenomeno. Pertanto mi permetto di rivolgere una raccomandazione soprattutto al settore del commercio gravemente provato dalla pandemia. La criminalità micro e macro ha sempre lucrato sulle disgrazie e lo sta facendo anche adesso, nel corso di una pandemia che sta mettendo in ginocchio interi settori economici. Le imprese hanno iniziato a boccheggiare e il crimine è già pronto a pompare denaro sporco invadendo ogni spazio lasciato vuoto dall’economia legale. Ergo, massima attenzione per gli imprenditori che invito a rivolgersi alle associazioni di tutela e agli enti istituzionali per un aiuto in caso di crisi.
A Bologna, già dal 1989, lei è stato dirigente dell’Ufficio immigrazione e poi a Roma ha avuto la direzione della Divisione Stranieri: il crimine di matrice straniera è un pericolo forse meno radicato di quanto venga percepito?
La criminalità straniera è forte e radicata sul territorio come quella indigena. Giusto per fare un esempio, c’è la criminalità albanese che detiene una buona fetta di mercato internazionale della droga smerciata in Italia; quella nigeriana, che opera nel settore della droga, immigrazione clandestina e sfruttamento della prostituzione; quella tunisina opera nelle nostre piazze per smerciare a basso costo la droga al minuto. Sono tutti fenomeni conosciuti e ben monitorati su cui si sta lavorando da anni e grazie al lavoro delle Squadre Mobili si sono raggiunti ottimi risultati nello sgominare intere bande criminali straniere. La criminalità stranierà è percepita dal cittadino come un grande pericolo che porta al fenomeno dell’insicurezza percepita. Infatti i nostri sforzi quotidiani sono diretti a presidiare le piazze, giardini e strade per allontanare e contrastare il fenomeno dello spaccio al minuto che coinvolge, e questo è molto preoccupante, i giovani e giovanissimi. Qui poi debbono intervenire le istituzioni fondamentali quali la famiglia e la scuola perché con la cultura si sconfiggono le illegalità quotidiane.
“Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono”: sottoscriverebbe le parole di Gaber? C’è stato mai un momento in cui è stata tentata di gettare la spugna?
Assolutamente no. Non c’è mai stato un momento in cui ho sentito la necessità di gettare la spugna. Svolgo un lavoro di grande responsabilità. Sono responsabile sia nei confronti dei cittadini del territorio in cui opero, sia nei confronti del personale della Polizia di Stato al quale devo sempre infondere fiducia, passione e buon senso per il lavoro quotidiano che svolge sul territorio, a contatto con i cittadini buoni e non.