«L’uomo ha perduto la capacità di prevedere e prevenire. Andrà a finire che distruggerà la Terra»

(Albert Schweitzer)

Di Angelo Vaniello, Università di Udine

 Questo affascinante e toccante libro si apre con un capitolo sconcertante. «Mi sono perso» – dice l’autore-protagonista –, che così ci fa immediatamente comprendere lo stato depressivo che lo affliggeva a un punto tale da dover ricorrere a una terapia suggeritagli dallo zio. Come egli stesso dice: «Rischiai tanto e seguii l’istinto, ricominciai ad ascoltare quello che mi chiedeva in corpo». Egli poté così continuare per la sua strada e non si pose più domande. «Mise a tacere i pensieri compulsivi, perché il martellamento continuo doveva essere un brutto ricordo». Questo suo nuovo comportamento mi ha portato a ricordare una stupenda citazione che ho tratto qualche anno fa da un libro di Thomas Nagel: «Ciascuna delle nostre vite è parte di un lungo processo in cui l’universo si sveglia gradualmente e diventa consapevole di sé stesso».

In effetti la Terra, nostro habitat, si è generata lungo un percorso che è stato la fonte delle «infinite forme bellissime e meravigliose» presenti in questo pianeta di cui ci parla Charles R. Darwin nel suo capolavoro L’origine delle specie per selezione naturale e lotta per l’esistenza. Ma l’imporsi dell’uomo (Homo sapiens) – una specie globalizzata, con una dirompente economia –, è sicuramente alla radice di un progresso che, però, come ha detto il grande teologo Jürgen Moltmann, «lo chiamano progresso, ma per gli altri esseri viventi e per le fragili condizioni di vita della Terra il nostro «progresso» significa «regresso».

Questa preoccupazione fu, peraltro, colta già nel 1972 dal Club di Roma con la pubblicazione del celebre I limiti dello sviluppo, ma soprattutto grazie alla profetica Rachel Carson in Primavera silenziosa del 1962.

Anche per queste ragioni la vita di Tommaso, si tramuta con grande coraggio, similmente a «un albero in continua evoluzione, forgiato dal tempo e dai fenomeni atmosferici». Un’esperienza che si può percepire solo durante un Cammino in un ambiente naturalistico. Egli si rende così conto che il suo nuovo habitat è la natura e la sua essenza. Un ambiente che, come quello adottato da suo Padre, è dominato dai silenzi e da dialoghi-confronti che sono pochi, ma sorprendentemente incisivi – perché privi di riferimenti religiosi. Di conseguenza possono sbocciare germogli dai semi di quei Cammini.

Anche nel nostro Paese vi sono numerosi e splendidi Cammini. Tommaso si innamora di quello dei Briganti dell’Abruzzo, dove vive la prima avventura. Un’esperienza dominata dal silenzio che introduce a una “magia” che permette l’apertura a persone sconosciute e a porsi in ascolto, purché vi sia la precauzione di non appoggiarsi ai muri per evitare le vipere.

Tommaso si rende conto che in un Cammino non percepisci né l’anticipo, né il ritardo. Puoi vivere il tuo tempo e nel contempo «Avere la pazienza di cambiare e accettare il tuo percorso evolutivo».

Giunti a questo punto, il suo sogno diviene realtà. Egli, tra i numerosi percorsi che portano a Santiago, intraprende quello lungo il Cammino Portoghese della Costa, dove l’oceano lo porta di fronte a tutte le numerose vie che portano a Santiago. Una vera e propria svolta naturalistica e, come vedremo, anche umana.

Mentre cammina lascia andare i suoi pensieri che conducono a uno stato della mente capace di riflettere su nuovi orizzonti, perché il suo silenzio si tramuta in preghiera rivolta alla crescita. Ovvero, come lo stesso Tommaso dice, «un religioso bisogno di ricominciare a credere e sentirmi un tutt’uno con la Terra. Aveva destinatari diversi: i miei familiari, i miei amici e me stesso». Mi sento di definirla una svolta epocale, perché la parola “nulla”, che prima era frequente nel suo linguaggio, ora deve scomparire, affinché possano farsi strada le “nuove scelte di vita” che poi devono essere in linea con un percorso rigorosamente logico e limpido al fine di poter essere accettato.

Le nuove scelte di vita possono favorire la capacità di sopravvivere, la quale è messa alla prova durante il primo Cammino – quello dei Briganti –, da affrontare in uno stato di completa insicurezza. Lo aveva colto la sua amica Chiara, la quale nel contempo ha cercato di rincuorarlo. Nonostante ciò, il dubbio rimane vivo anche dopo queste ottimistiche parole: «Non ti preoccupare, […] in Cammino uscirà tutta la tua forza interiore e non sentirai la fatica come tale». «Perché non resti a casa a riposare? Non sei tu». «No, no, devo andare», egli replica con grande onestà e lucidità. «Se non avessi toccato il fondo, se non avessi toccato l’oscurità, ora non sarei lo stesso uomo».

Tommaso si trova ora di fronte a scelte di vita che richiedono le prime risposte ottenute inizialmente durante questo Cammino dei Briganti, ma che assumono una notevole portata durante il Camminino Portoghese della Costa, dove l’oceano lo porta di fronte a tutte le numerose vie verso Santiago.

Il suo pensiero ora si fa vivo grazie a questa splendida esperienza. Egli mette in luce il valore cruciale della Natura e dell’Umanità che emerge dalla loro interdipendenza, quando dice che, «Come l’albero, il Cammino ci insegna a rallentare e crescere in tempi non definiti e a immergerci nel ritmo naturale delle cose. Saper vivere le attese, rispettare quelle più lunghe e allo stesso tempo a essere pronti a mutare. A saper ascoltare». Sono affermazioni quasi poetiche.

I successivi capitoli sono dedicati alla figura del secondo protagonista, Nathan, un personaggio che si unirà strettamente a David.

Dopo dieci chilometri, ormai stanco, David si ritrova in boschi simili alla macchia mediterranea, ma, nonostante ciò, non avverte alcuna stanchezza, perché comincia a sognare l’ingresso nel Cammino di Santiago. In quel contesto s’imbatte in una sagoma nera che si rivela una sedia a rotelle super-accessoriata e con uno schienale su cui c’è appeso uno zaino da venti litri. Sulla sedia si trovava seduto un uomo di mezza età con i capelli lunghi raccolti a coda. Quasi immediatamente si presentano con breve scambio di parole. «Ciao, sei italiano?» – Si e tu? – «Sono del nord della Francia e vorrei giungere a Santiago la prossima settimana […], se le mie gambe me lo permetteranno».

Nasce così una sorprendente amicizia, associata a una lunga conversazione, che si rivela una splendida e spontanea amicizia del tutto originale soprattutto di fronte una società violenta, dove la spietata competizione e l’odio ancora prevalgono sull’amicizia e sulla solidarietà. In questo nuovo contesto, David si rende subito conto che, se accettiamo le fragilità, forse potrebbe darsi che il perdono riduca il peso delle colpe reali o immaginarie per condurre alla guarigione interiore ed esteriore. David, però, giunge a una conclusione ancora più sorprendente, perché capisce che il senso della felicità si può trovare anche da imperfezioni che gli sono apparse addirittura nelle sue impronte lungo il Cammino.

Un’ulteriore sorprendente considerazione la scopre sempre David nel taccuino mezzo distrutto di Nathan, dove trova un’incredibile connessione tra un ponte che, come noto, rappresenta «un mezzo per superare un ostacolo fisico, ma collega il passato al futuro, la gioia al dolore, il noto all’ignoto», senza dimenticare che siamo connessi alla nostra disabilità: «chi non è disabile emotivamente al giorno d’oggi?». Questo promemoria è impegnativo, perché Nathan gli ha fatto capire che «Ogni giorno è quello giusto per perdonare». David percepisce di essere alla fine della tappa “emotiva”, ma «Nathan gli ha lanciato una nuova bomba: la parola perdono». In che modo? Non è facile rispondere. In ogni caso, a fronte di queste situazioni, David ritiene che riguardi noi tutti, perciò dobbiamo pensare e riflettere. Ricordiamocelo pure noi, perché «Ogni giorno è quello giusto per perdonare». Allora il perdono ha potuto aprire la via a David verso la tenerezza e dunque verso il mondo e Nathan.

Alla luce di quanto ora esposto, possiamo affermare che la nostra storia evolutiva ci ha donato un’intelligenza che ci consente di ragionare e ipotizzare scenari possibili esercitando la nostra libertà, perché, come afferma il brillante paleoantropologo Ian Tattersall, «la Natura non ci ha modellati per diventare un particolare tipo di creatura. Però, «la buona notizia è che almeno dal punto di vista biologico possediamo una dose considerevole di libero arbitrio». Gli fa eco Martin A. Novak, grande paladino della cooperazione, il quale dice: «io penso che la vita intelligente sia fragile […], non sembra durare a lungo». Perciò il tempo che ci rimane per agire è ormai limitato.

In questo clima intellettuale e umano si sono trovati e hanno agito Nathan e David. Sono infatti molteplici gli argomenti che affrontano lungo il percorso del Cammino di Santiago e tutti incentrati sui rapporti umani e sul rapporto dell’uomo con la Natura per il bene dell’umanità e della Terra. Attraverso una serie Tappe, Nathan e David discutono i contenuti di argomenti molto attuali che mettono in luce le loro potenzialità e i loro limiti, concludendosi alla fine del percorso in comune con un’affermazione commovente: «David ci dobbiamo salutare. […] «Grazie, Nat, non abbandonarti mai e regala gentilezza a chi farà con te un pezzo di Cammino. Camminerò anch’io con te. Anche quando tornerai in Francia».

         Il grande valore de In cammino con Nathan risiede, pertanto, nel tentativo di dare risposte esistenziali all’uomo che vive sulla Terra. La risposta non è facile, ma ora, forse, si è aperto uno spiraglio che si può esprimere con una breve locuzione: «il noi precede l’io». Anche Nathan e David hanno di fatto ispirato il loro pensiero a queste intenzioni, che sono state enunciate da Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’ e che, sono state sostenute, pure, da Michael Tomasello, lo psicologo evoluzionista autore del libro Diventare umani. In questo saggio Tomasello pone al centro della natura umana la socialità, la nostra capacità di relazionarci agli altri, resa possibile dalla cooperazione, perché è il carattere che ci rende umani, e arriva al punto di sostenere che il «noi precede l’io» già nello sviluppo dei bambini. Ma non posso dimenticare che questo assunto fu inizialmente proposto da Martin Luther King. Infine, personalmente, ricordo pure David Maria Turoldo che, in sintonia con Andrea Zanzotto, diviene una potente voce di denuncia del presente e richiede la riscoperta della sacralità della Natura, con un chiaro richiamo a Giacomo Leopardi quando, nella Ginestra, mira a superare ogni contrasto tra sacro e profano.


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