I PANNI SPORCHI DELLA DEMOCRAZIA AMERICANA

Nel 1835 esce negli Stati Uniti un saggio in lingua francese di Alexis de Tocqueville, “Democrazia in America”. Comparando il sistema francese con quello americano, il magistrato transalpino delinea le caratteristiche della società a stelle e strisce. Oltre a rilevarne i pregi accattivanti, sottolinea l’acuirsi delle diseguaglianze sociali come la schiavitù – che porterà alla dolorosa guerra di secessione del 1861 – e della progressiva tirannia della democrazia, in quello che il saggista chiama dispotismo. Questa intuizione, una profezia, ha avuto un impatto considerevole, a partire dalla base della stessa società americana.

Col passare del tempo, è sorto nello spirito americano l’inconscia e famelica pretesa di essere detentori di una visione politica da dover condividere ad ogni costo e con ogni sforzo, in un messianismo di nuova generazione. Questa difesa dei propri diritti, della visione globalizzante dell’essere democratico, parte dal cittadino, che non è solo l’infinitesima cellula della società, che va educato coi valori democratici, ma è inteso come parte della milizia civile, un esercito naturale necessario che ha “il diritto  di detenere e portare armi”. Il ben noto secondo emendamento della Costituzione americana richiama all’importanza di difendere lo Stato libero, per intenderci democratico, dalle minacce che possano scalfirne la sicurezza. In nome di tale libertà, che non potrà mai essere infranta, assistiamo a una difesa ad oltranza dell’utilizzo delle armi che conosce una di quelle distorsioni che probabilmente avvalora le parole di Tocqueville. A distanza di poche settimane, l’America è ripiombata nell’incubo degli attentati, orchestrati da cittadini insospettabili, esaltati suprematisti o vittime del bullismo dei loro coetanei, che scaricano le pallottole delle loro sofferenze e delle loro folli idee su inermi civili. L’ultimo episodio, di qualche giorno fa, avvenuto nel profondo Texas, ha visto morire ventuno persone, diciannove bambini e due adulti, rimpinguando il numero delle sparatorie dall’inizio del 2022, oltre duecento. Artefice di questa impresa del terrore, un ragazzo diciottenne, Salvador Ramos che aveva comprato l’arma in occasione del suo compleanno e che aveva già orchestrato tutto in quella sua mente annebbiata, nutrita e incoraggiata probabilmente dai tragici precedenti. Salvador Ramos non ha riconosciuto l’autorità e il buon senso che dovrebbe guidare i cittadini di uno stato democratico.

Dello Stato democratico per eccellenza. Infatti ha ignorato la voce autorevole della famiglia, di sua nonna, che aveva colto i sinistri presagi dell’azione del nipote, cercando di sviarlo dalle sue intenzioni, col risultato di restarne gravemente ferita. Poco prima di passare all’azione, ha messo in guardia la società tramite Facebook sulle sue intenzioni omicide, restando ovviamente inascoltato dalla platea del social. Il risultato è stata una carneficina, un pianto inconsolabile di genitori straziati dal dolore nell’atto del riconoscimento dei corpi dei loro cari, per alcuni dei quali è stato necessario il riconoscimento del DNA.

Il presidente Biden ha usato parole di sconforto più che di reazione. Si è detto “disgustato e stanco” e si è chiesto “quando, per l’amor di Dio, affronteremo il problema delle armi?”, un tono dimesso rispetto alle ringalluzzite dichiarazioni contro la guerra, non da ultime quelle in difesa di Taiwan, parole che ha lasciato basiti non pochi americani.

Come ben si sa, la lobby delle armi negli Stati Uniti è molto forte e gestisce un mercato che non conosce crisi. Per un americano ottenere un’arma è diventato più semplice anche grazie al mercato online, un modo per aggirare i controlli che hanno comunque una certa rigidità. Colpisce dunque l’impotenza del Presidente della più grande democrazia del mondo nel trovare una soluzione ad un problema che riguarderebbe il bene comune dello Stato, la sua reale difesa. Già Obama aveva cercato di ovviare a questo annoso problema. Sorprende nel particolare periodo storico, nel quale gli USA fanno il diavolo a quattro per risolvere le crisi internazionali in corso in nome della tanto conclamata democrazia, la difficoltà di risolvere problemi interni che mettono a rischio uno dei fondamenti della vita civile, come quello della convivenza. Basti ricordare i problemi che gli afroamericani ancora oggi hanno nel non vedersi rispettati a pieno i loro diritti o la mancanza di una politica sanitaria per tutti i suoi cittadini. Lo Stato democratico continua a sancire il diritto di detenere e utilizzare armi, in nome della difesa dell’individuo e della legittima difesa, un Far Westlegalizzato, un ritorno all‘Homo homini lupus. La democrazia dei politici fa fatica a imporsi sul dispotismo oligarchico di chi fa affari macchiati dal sangue di vittime innocenti. Resta la fiducia che il modello democratico Made in Usa possa trionfare in un mondo più libero e più giusto. E allora ben venga buttare all’aria le nostre esperienze democratiche, alcune delle quali secolari, fondate sul rispetto, sul dialogo e sulla solidarietà, in nome di armi, suprematisti, razzisti e pretese imperialistiche mascherate da organizzazioni obsolete. Perché in fondo anche noi restiamo affascinati dal sogno americano e siamo convinti della sua bontà che trionferà sui nostri nemici, e per questo che gridiamo con fede cieca in America we trust!