Da “Novelle d’altri tempi”
Vi pare che lui non l’avrebbe capito se solo ne avesse avuto cognizione del fattaccio? Era rimasto immobile, con le mani in tasca, dentro il nuovo vestito, così conciato da assumere una posa da manichino dentro la vetrina di una fiaschetteria; e tanto assumeva quel volto; a uno che si era trangugiato tre litri di quello fatto in casa… Bisognava starlo ad ammirare quel viso! Sporgenti dalle immense orbite quegli occhi verdi che parevano quelli di un ramarro in catalessi; miravano fisso un punto indeterminato del sito dentro il cui raggio si affastellavano oggetti d’ogni genere; anche delle stranezze materiali cui si riferiva il fattaccio, e rideva.
Non solo sprofondava nella tristezza del caso ma si arroventava, e si notava dal movimento delle labbra carnose e perennemente screpolate, dal cui frenetico movimento non trovava la giusta posizione di serenità, qualche lembo estremo del suo cervello, intento a macinare in cerca di una qualunque logica sfuggente, ma rideva. Era apparso all’improvviso come un fulmine a ciel sereno e, all’istante, era seguito il botto, e lui rideva.
Qualcuno si era pronunciato seminando tesi eterogenee, disparate, discorde nella logica e affine al proprio punto di vista, dove spesso, la realtà si discosta al punto tale tanto che pure le ipotesi si camuffano da verità. Erano tante le persone accorse dopo lo sbraitato urlo al termine del quale era caduto un silenzio cupo, minaccioso, dove la stessa minaccia si era esaurita per lasciar posto allo sbalordimento. E lui rideva. A nulla era valso l’impegno di un medico occorso per tamponare, stagnare la fluida, vermiglia vita, dal corpo che, ancora caldo, era riverso sull’aia; e con il capo cline sul quale era evidente l’ingresso adoprato dalla morte per farne fuoruscire lo spirito vitale; un foro: mentre Nicola, rideva; rideva seriamente. Era lì nel suo vestito nuovo di fattura ma ricavato da una stoffa rivoltata; era quella di un abito dismesso del suo genitore. Per lui era sempre un vestito nuovo di zecca, poiché era la prima volta che ne notava la struttura della stoffa, con una trama assai diversa e meno appariscente del verso rovesciato che lui aveva già conosciuto addosso al genitore. Rideva del suo vestito, Nicola; inconscio di ciò che gli era capitato al padre, steso lì ai suoi piedi. Tra le gambe della folla di curiosi si scansava maldestramente un cane; anche lui era interessato alla prima fila per assistere la scabrosa scena; ne aveva più diritto degli altri sul suo padrone che giaceva lì senza rivolgergli uno sguardo o un comando: immobile come non l’aveva mai veduto. A differenza della gente che non mostrava decenza di fronte a un simile evento, la bestia se ne stava lì con la coda fra le gambe e con gli occhi umidi e lucenti; proprio di una persona tristemente colpita nel profondo dell’animo, addolorata. Il suo padrone emanava un tanfo di morte; al cane non serviva altro che il suo fiuto per accertarsene. Si sa che il dolore ha diverse manifestazioni nell’uomo: a volte sommesso, scenografico e altre ancora soffocato, senza lasciar trasparire alcun sintomo dello stesso; figurarsi un cane nella sua piena dignità; il suo comportamento non dà adito ad alcuna manifestazione plateale poiché la sofferenza e assai peggio di una museruola o un guinzaglio che lo condiziona, lo trattiene, ma è come una gabbia angusta e senza grata che gli comprime il cuore. Il suo possessore è l’unico amico. Buccia era un nome appioppategli dal suo padrone per via dei gusti che il cane aveva nel preferire, della frutta in genere, la buccia oppure il torsolo o il nocciuolo mentre scartandola, ne ignorava la sugosa ciccia. Facendosi spazio fra le gambe dei presenti, la bestia si era guadagnata le prime fila acciambellandosi ai piedi di Nicola; che rideva nel suo appariscente vestito di stoffa rivoltata, con le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni. Il coro si era fatto più vivace e aveva assunto un tono impetuoso da Walkiria wagneriana tanto che nessuno capiva nessuno; e tutti alzavano d’intonazione, ignari della confusione fuori posto che si era venuta a creare. Lì c’era un cadavere e, a parte di Nicola che rideva, nell’apparenza senza alcun motivo, gli altri, almeno, un po’ di rispetto, diamine! I due carabinieri erano giunti con una camionetta subito dopo il dottore; qualcuno si era deciso a chiamarli; nel frattempo il campo d’azione era stato talmente calpestato dai curiosi accorsi, che pure il più elementare indizio era stato cancellato. Avevano portato il corpo nella legnaia, dopo che il medico legale ne aveva accertata la morte; l’avevano deposto sul piano di un tavolo dopo averlo liberato dai frutti di melegrane e uva appassita, messe lì dal giorno della raccolta. Mattia aveva lasciato casa alle quattro di mattina per recarsi al fondo di Piano Calvo che si trovava ai limiti del paese; e dove lui aveva un piccolo pezzo di terra su cui coltivava alcuni frutti senza tante pretese. Aveva una moglie e un figlio con qualche problema di salute; era tempo ormai che se lo portava appresso in campagna ma solo per non lasciarlo in paese alla mercé dei ragazzi che lo sfottevano per la sua diversità. Quel giorno non l’aveva fatto; poiché dormiva profondamente; e si era intenerito tanto da non averlo voluto svegliare; però aveva detto a sua moglie di mandarlo in campagna non appena lui si fosse svegliato.
Ora Nicola era lì, in piedi, con le mani in tasca e rideva, davanti al padre stecchito. Era riverso sotto un albero di mandorle al bordo dell’aia, di Piano Calvo. Si era talmente agitato che gli si era bloccata la favella: quel poco che gli era rimasta, poiché quel difetto, ben marcato, di pronunzia, non era solo la causa e motivo di scherno da parte dei monelli; vi era ben altro: era il cervello, per via di una meningite, presa in giovane età, che non gli girava bene.
Il primo arrivato, dopo Nicola, fu una guardia campestre che trovò il giovane impalato, in tasca le mani, davanti al corpo di suo padre. Era in uno stato pietoso. Fissava quel corpo inerme e balbettava: -Vestito nuovo … lui non svegliato. Io paura … vestito nuovo … io dormire ….
Era stata la guardia a chiamare un medico e poi i carabinieri mentre spargendo voce in giro, aveva animato una folta combriccola di curiosi i quali si erano precipitati sul luogo del fattaccio, poco distante dal paese, in periferia.
Il cane, un bastardino, se ne stava accovacciato vicino ai piedi di Nicola e lo guardava con occhi pietosi intanto che questi estraeva la mano destra dalla tasca dei suoi nuovi pantaloni, brandendo un revolver, forse ancora tiepido, dopo l’unico colpo. Un mezzadro avvertì il lamento del cane, quasi d’avvertimento, e si accorse subito della mano armata di Nicola, bloccandogliela. Si fecero avanti i due carabinieri che ammanettarono il giovane il quale farneticava: -Non rovinato vestito di papà …, e rideva. -Io dormivo. – Mio vestito nuovo … vestito di papà non rovinato. La risata assunse un tono di beffa sul viso di Nicola e le sue labbra si strinsero in una smorfia bestiale tanto che pure Buccia, in cuor suo, ne avvertì la tragicità e si mise a ululare.
16/febbraio/2010